La questione cecena e la necessità di mantenere alta l’attenzione
di Pier Paolo Scarsella
1 Aprile 2017. Mentre la comunità Lgbtqi si prepara a riversarsi da lì a qualche mese nelle strade di tutto il mondo per rivendicare con orgoglio il diritto di poter essere se stessa, dal giornale russo Novaja Gazeta viene diffusa la notizia che in Cecenia un centinaio di omosessuali sono stati catturati e detenuti illegalmente e tre di essi sono stati uccisi. Dalle informazioni diffuse, il quadro che se ne può dipingere ci racconta di un regime totalitario i cui atti di repressione non hanno nulla da invidiare a quelli praticati dal regime nazista durante la Seconda Guerra Mondiale.
In un’intervista rilasciata il luglio scorso al conduttore della HBO David Scott, il leader ceceno Ramzam Kadyrov, alla domanda sulla situazione degli omosessuali detenuti in Cecenia, ridendo, ha risposto così: “Questo è un nonsense. Non abbiamo quel genere di persone qui”. Il messaggio è chiaro: se sei lesbica, gay, bisessuale, trans o intersessuale in Cecenia non esisti.
Ne parliamo con l’attivista per i diritti Lgbtqi Yuri Guaiana, campaigns manager di All Out, membro del direttivo di Ilga-Europe e dell’associazione radicale Certi Diritti.
Sappiamo che la Federazione russa non è certo un esempio in fatto di diritti ma quali sono i fattori che hanno portato la Cecenia ad incrementare le azioni repressive nei confronti delle persone Lgbtqi?
Il contesto socioculturale ceceno è molto complesso. È uno stato semi-autonomo della Federazione russa che ha combattuto due guerre contro la Federazione stessa, durante le quali Akhmad Kadyrov ha preso il potere tramite un accordo con Putin che prevedeva di tenere la nazione caucasica, allora segnata da spinte di radicalismo islamico, in uno stato di quiete. Dopo la sua morte il figlio Ramzam, già capo delle milizie, ha preso il controllo centralizzando nelle sue mani il maggior numero di poteri e omologando la società secondo le sue ideologie. In primis il salutismo, imponendo il divieto di fumare, bere e di utilizzare droghe, introducendo alcuni elementi dell’Islam e relegando le donne ad un ruolo di sottomissione. Kadyrov ha sempre adottato questi metodi brutali nei confronti dei suoi oppositori, dei tossicodipendenti o di chi era ritenuto vicino al radicalismo islamico. Stando a quanto sappiamo, nei mesi precedenti alla diffusione della notizia, in una delle retate fatte è stata arrestata anche una persona che durante la prigionia si è scoperta essere omosessuale. Da qui è stata presa la decisione: “avendo scoperto che gli omosessuali esistono anche in Cecenia”, quelli presenti dovevano essere eliminati.
Come espresso più volte, se da un lato la persecuzione dei gay in Cecenia viola l’articolo 282 del Codice Penale russo – che punisce chi professa “l’incitamento all’odio e la denigrazione della dignità umana” – dall’altro sappiamo che invece viene praticata liberamente, e addirittura incoraggiata dal governo ceceno, il cosiddetto “Delitto d’onore”. Com’è possibile che si verifichi questo paradosso?
Il problema è che c’è una doppia dipendenza tra Putin e Kadyrov, per la quale da un lato Putin ha bisogno di Kadyrov, che gli garantisce la calma e la pace in Cecenia, dall’altra al leader ceceno viene concesso un potere assoluto su ciò che avviene nella repubblica. Nessuno dei due ha interesse a rompere questo patto e quindi in questo caso Putin guarda dall’altra parte.
Così accade per il “Delitto d’onore”. Nonostante in tutta la Russia sia illegale, con un regime totalitario come quello ceceno, si arriva al punto che Kadyrov possa incitare liberamente le stesse famiglie a punire i parenti accusati di una lesione dell’onore.
Con la diffusione della notizia la comunità Lgbtqi si è mossa per cercare di aiutare le persone detenute in Cecenia attraverso numerose petizioni. L’11 Maggio scorso mentre consegnavi le firme raccolte sei stato fermato. Cosa è successo?
Sostanzialmente io ed altri attivisti russi, con i quali avevamo raccolto migliaia di firme tramite AllOut.org e altre piattaforme, eravamo andati a consegnare le firme al procuratore della Federazione russa per chiedere di iniziare un’indagine sui crimini che si stavano svolgendo in Cecenia. Arrivati nei pressi degli Uffici del Protocollo per depositare le firme, abbiamo trovato in una piazza lì vicino polizia ed esercito che dopo pochi passi ci hanno fermato e accusato di aver organizzato una manifestazione non autorizzata e di aver fatto resistenza a pubblico ufficiale.
Come abbiamo potuto apprendere dai giornali, gli obiettivi principali di queste persecuzioni sono gli uomini omosessuali e bisessuali. Però sappiamo molto poco sulle condizioni delle donne omosessuali o delle persone trans e intersessuali. Qual è la loro situazione?
La situazione di chi non è ritenuto conforme alla visione del regime conservatore è in generale molto pesante, al di là dell’idenità di genere. Abbiamo ricevuto la notizia di una donna cecena che, discriminata e minacciata di morte perché non omogenea alla “cultura locale” era riuscita ad ottenere asilo e ad abbandonare la Cecenia. Mentre stava cercando di arrivare in Finlandia, però, è stata intercettata dal padre che l’ha costretta a tornare. Il problema quindi si lega anche alle reti familiari, in quanto le relazioni di controllo sono così capillari e pervasive da imporre la cappa conservatrice che esiste nella repubblica caucasica anche su chi è lontano.
È di questi giorni la notizia che il governo canadese ha collaborato nel dare asilo a 31 persone omosessuali. Sul panorama italiano, invece, nonostante le iniziative della comunità Lgbtqi nel richiedere un intervento forte da parte della nostra amministrazione, non abbiamo assistito ad una presa di posizione adeguata nei confronti della situazione cecena?
È la politica italiana. È un governo che ha deciso di tenere un profilo basso rispetto ad un paese con cui ha tantissimi legami, assai discutibili, di natura economica e politica. Al contrario di stati come la Francia, la Germania o l’Inghilterra il governo italiano ha deciso di non prendere una posizione netta. Il ministro degli Esteri si è limitato, dopo qualche settimana, a sottoscrivere una lettera con altri ministri dell’UE e la Mogherini ha rilasciato una dichiarazione. In seguito al fermo che abbiamo subito io e gli altri quattro attivisti, però, qualcosa anche sul panorama italiano si è mosso e il sottosegretario Della Vedova ha dichiarato che cercherà di lavorare affinché anche l’Italia si attivi ad ospitare rifugiati ceceni.
Per concludere, vorrei chiederti quale, secondo te, dovrebbe essere la strada per cercare di cambiare e migliorare l’attuale situazione?
Parlarne e continuare a farlo. Parlare della condizioni delle persone Lgbtqi in Cecenia e della Russia. Di fronte ad una politica indifferente rispetto alla violazione dei diritti umani, la società civile è l’unica in grado di tenere alta l’attenzione.
Pubblicato sul numero 28 de La Falla – Ottobre 2017
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