di Vincenzo Branà

Nel 2012 mi capitò di assistere a uno spettacolo teatrale accusato di blasfemia. Lo spettacolo si intitolava “Sul concetto di volto nel figlio di Dio” ed era firmato dal celebre regista Romeo Castellucci. Conoscevo Castellucci come persona religiosa: non ne avevo la certezza ma questa era l’impressione che ne avevo tratto assistendo ai suoi spettacoli e ascoltando le sue interviste.

Perciò quell’accusa mi parve sin da subito paradossale. Arrivato a teatro trovai davanti all’ingresso una sorta di predicatore che protestava e che annunciava esiti apocalittici conseguenti a quella grave offesa alla religione. Da quello spettacolo – breve, quasi fulmineo – uscii molto scosso: in scena c’erano due personaggi, un padre anziano e un figlio adulto. Il padre aveva perso il controllo degli sfinteri e il figlio, mentre frettolosamente si preparava per andare al lavoro, lo accudiva. Quel continuo defecare del padre e il disperato tentativo del figlio di detergerlo, creava un climax di disperazione, dolore, perdita di dignità. Fino all’urlo esasperato del figlio – “Papà porca puttana!” – che folgorava la scena come l’ “Eloì, Eloì, lama sabactàni” di Gesù sulla croce. E in effetti quello a cui si assisteva era un calvario, traslato dall’allegoria religiosa ai dolori della quotidianità. Da ateo, portai con me, da quello spettacolo, il senso del Sacro. E non trovai affatto irrispettoso quell’enorme volto di Cristo posto sul fondo della scena, né l’inchiostro con cui veniva imbrattato.

Il Cassero, di recente, è stato accusato di blasfemia. E non è certo mia intenzione affiancare le immagini goliardiche di una festa casserina al lavoro sublime di Castellucci. Mi interessa però concentrarmi sul Sacro. Che c’è, esiste, nella vita, prima ancora che nelle religioni, che della vita per me sono solo una grande allegoria. Ed è un errore non esplorarlo, così come è un errore confonderlo con un’immagine sullo sfondo.

pubblicato sul numero 4 della Falla – aprile 2015