120 battiti al minuto racconta Act Up Paris
Il film è stato proiettato come anteprima del Gender Bender Festival. Sarà distribuito nelle sale dal 5 ottobre.
Parigi, primi anni ’90. Act Up Paris è un’associazione di gay e lesbiche sieropositive che si batte per la cura e la prevenzione di una malattia che da una decina d’anni sta decimando la comunità senza che istituzioni e case farmaceutiche si impegnino realmente per trovare una soluzione.
120 battiti al minuto racconta la sua storia tra pubblico e privato, attraverso il rapporto tra Sean e Nathan.
La terza regia di Robin Campillo non ha la compattezza melodrammatica, per esempio, di The Normal Heart, il film di Ryan Murphy sul Gay Men’s Health Crisis. La divisione in lunghe sequenze esplora situazioni diverse registrandone i minimi movimenti senza calcare la mano sull’emotività che affiora comunque, dalle vite incerte, dalle situazioni, dalle disperazioni personali.
La prima parte del film mostra le intense assemblee di Act Up, le pratiche, le contraddizioni politiche e le azioni pubbliche. Gavettoni di sangue finto, irruzioni dentro case farmaceutiche, die-in in piazza, adesivi, affissioni. Tutto era pensabile e possibile.
La seconda parte è più intima e segue la malattia e poi la morte di Sean. Una morte che viene vissuta collettivamente. Le sue ceneri poi sparse sul banchetto degli assicuratori.
120 battiti al minuto è un film lungo e potente, da vedere perché mostra la forza del fare politica, quando il massimo della tecnologia erano i fax e la lotta era una questione di vita o di morte, e perché è storia troppo recente per dimenticarla.
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