Molto più di Zan, la piazza bolognese alla vigilia dell’idahobit
Il movimento LGBTQ+ italiano arriva all’annuale Idahobit, la Giornata internazionale contro l’omolesbobitransfobia, dopo il weekend di mobilitazioni a favore del Ddl Zan, che ha infiammato tutto il territorio nazionale. L’onda lunga cominciata lo scorso fine settimana a Milano è approdata in tante altre città, tra cui Roma – 10.000 partecipanti sabato in Piazza del Popolo – e Bologna, ieri.
Il Ddl Zan inserisce nella nostra legislazione, allineando l’Italia alla maggior parte dei Paesi europei, «misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità».
Ma è «Molto più di Zan» lo slogan che ha richiamato in piazza dopo una lunga assenza tutta la comunità LGBTQ+, femminista e transfemminista bolognese (oltre 2000 le presenze stimate), frutto di una convergenza cittadina tra associazioni, collettivi, reti informali e soggettività che vanno dal Cassero Lgbti+ Center al Bside Pride, dal Mit, a Nudm Bologna, dal Gruppo Trans a Plus, Agedo, Il Grande Colibrì, Laboratorio Smaschieramenti e tantə altrə.
Migliaia erano anche i e le manifestanti che sabato 15 hanno dato vita al corteo di solidarietà a supporto del popolo palestinese che da Piazza dell’Unità è arrivato fino in Piazza Maggiore. E la continuità delle due piazze è stata subito rivendicata in apertura degli interventi con la denuncia del pinkwashing israeliano e un richiamo al boicottaggio.
«Il Ddl Zan è colpito per via del passaggio sull’identità di genere. Vogliono affossare quella parte, escludere le persone trans», denuncia Porpora Marcasciano del Mit, che continua: «Non eravamo abituate a ricevere questi attacchi da una parte del femminismo. Ci addolora, blocca il percorso di emancipazione cominciato assieme più di quarant’anni fa. Ma non dobbiamo confondere il femminismo con quella parte che ora si allea alle destre più violente. […] Viviamo in una società patriarcale che continuerà a ucciderci. È questa società che dobbiamo capovolgere», conclude.
«”Molto più di Zan” significa che questa legge, costruita senza che il nostro movimento abbia potuto contaminarla, ha dei limiti enormi, ma in questo momento è diventato simbolico difenderla» sottolinea Renato Busarello di Smaschieramenti.
Sono tanti gli interventi che approfondiscono e delineano il percorso che ci aspetta dopo l’approvazione della legge così com’è. Non un passo indietro sul testo bloccato al Senato, quindi, che è il minimo sindacale per andare oltre, ma un rilancio.
Una trasformazione culturale che parta della scuola, primo presidio educativo, a fronte di dispositivi che non possono essere solo formali, come l’introduzione dell’Idahobit nelle scuole di ogni ordine e grado (sottoposta comunque al patto con le famiglie), o punitivi, «Perché la sola repressione non risolve la violenza sistemica».
C’è molto da fare: combattere la diseguaglianza economica, l’esclusione sociale, promuovere un welfare universale, un nuovo modello di salute che coinvolga tutte le soggettività rese ancor più fragili dalla pandemia, rettificare la legge 164, rafforzare la rete dei centri antiviolenza, e contrastare l’abilismo «con un’educazione alle differenze obbligatoria delle scuole che comprenda anche l’educazione anti abilismo».
È Giosy Varchetta a inserire il tema delle discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità: «Siamo contente che lo Stato riconosca che anche noi subiamo una discriminazione quotidiana, il problema è che è capeggiata dallo Stato stesso».
Giuseppe Seminario, presidente del Cassero, risponde ai dubbi di chi pensa che la legge colpisca la libertà d’espressione: «Il linguaggio d’odio non è libertà d’espressione, il linguaggio inclusivo non è “politicamente corretto”. È la nostra esistenza, siamo noi a decidere come nominarci». E chiosa «l’articolo 4 fa schifo [è l’articolo a tutela della libertà di parola, nda], il diritto è già garantito dalla Costituzione».
Si parla anche di spazi, dal privilegio di poterlo avere a chi se l’è visto togliere per mano del Comune. «Atlantide è stata sgomberata da questa amministrazione»: viene così chiamato in causa Matteo Lepore, presente in piazza, attuale assessore alla Cultura e candidato sindaco alle primarie del Pd per le prossime elezioni cittadine, a cui viene detto senza peli sulla lingua che «questa piazza non si presterà a fare da campagna elettorale a nessuno».
Il movimento LGBTQ+ nazionale e cittadino come sappiamo sconta da tanto, troppo tempo, l’incapacità concentrare le forze su obiettivi comuni, ma il messaggio del 16 maggio non poteva essere più chiaro: reti, alleanze, condivisione, intersezionalità.
Chissà che non sia arrivato finalmente il momento buono sulla convergenza più ambiziosa, l’unica per cui ne vale la pena: vogliamo tutto.
Foto di Valentina Pinza e Roberto Berveglieri
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