di Vincenzo Branà

La corsa verso il riconoscimento delle coppie samesex ci ha sottoposti a mesi di giudizi, commenti, dubbi, accuse, maldicenze. Quotidiani, radio, periodici, programmi tv, documentari, dibattiti pubblici hanno indagato incessantemente sulle nostre vite: gli omosessuali sono persone affidabili? Sanno crescere i bambini? Li amano come gli altri genitori? E tra loro, quanto si amano? Sognano davvero di sposarsi? E dove vorrebbero sposarsi? Sono “fedeli”? Stanno insieme tutta la vita o ad un certo punto si separano? E tra loro, litigano? Quanto? Come? E poi fanno la pace?

Il riconoscimento delle nostre relazioni di coppia (un modello tutt’altro che avveniristico, anzi talmente antico da mostrare con evidenza i segni della vecchiaia) ci è costato l’immersione in un lungo reality show, in cui alla massa guardona e giudicante è stato concesso di fissare lo sguardo morbosamente sulle nostre carezze, sui nostri baci, sui giocattoli dei nostri bambini, sugli arredi delle nostre case. Il Grande Fratello ha osservato al microscopio le nostre vite, talvolta a caccia di stranezze che nutrissero un immaginario freak, l’ideale per mettere un po’ di pepe nello show, per iniettare bile nella rissa e per far impennare l’audience. Certo, ce lo aspettavamo, ne eravamo assolutamente consapevoli. Perciò abbiamo accettato di giocare il ruolo delle cavie, di tuffarci tutte e tutti nel grande Truman Show, di essere destinatari di ostilità, pietismi, opportunismi, insulti, giudizi sommari. Ne è valsa la pena?

L’obiettivo che ci eravamo posto era in realtà molto più alto e gli arretramenti delle ultime fasi del dibattito parlamentare hanno dimezzato il piatto di questa partita. Ma almeno noi l’abbiamo giocata. Ed è proprio per questo, al di là del bilancio che ognuno e ognuna vorrà tracciare, che sentiamo il bisogno di esorcizzare, di fare a brandelli la divisa del talent show e di smettere di produrre risposte alla curiosità morbosa dei mezzibusti. Vogliamo liberarci. Ed è il Pride il nostro rituale di liberazione: il prossimo 25 giugno a Bologna riporteremo in piazza l’orgoglio, ci leveremo di dosso il pantano, rimetteremo al centro le nostre favolose esistenze. Che sono molteplici, belle perché incostanti, appassionate perché ribelli, autentiche perché in continua esplorazione. Il Pride libera tutt*: mai come quest’anno ne sentivamo il bisogno, mai come quest’anno è stato urgente tornare a parlare di Libertà.

pubblicato sul numero 16 della Falla – giugno 2016