UNO SGUARDO INTERSEZIONALE
Ogni 20 novembre si celebra in tutto il mondo il Transgender Day of Remembrance, in ricordo delle vittime trans e gender variant.
Dal 2008 al 2017, secondo il Trans Murder Monitoring sono state 2609 le vittime dell’odio transfobico, che sta a significare omicidio con arma da fuoco, con armi bianche o con botte e percosse. Nel 2016 Planettransgender.com contava un omicidio ogni 21 ore. L’anno precedente aveva pubblicato un affranto e paradossale appello: potete smettere di ucciderci almeno per una settimana?
Rispetto all’anno trascorso si contano 30 vittime in più. Anzi 31, visto che l’omicidio di L. Ursaru con una coltellata al petto, avvenuto la notte del 10 novembre a Roma, non è stato incluso nel monitoraggio, chiuso il 30 settembre. Così come non è incluso il suo nome ma solo quello anagrafico, perché nessun giornalista conosceva il suo nome femminile, Laura/Laurentia. Gli uomini trans non vengono conteggiati a parte, forse perché invisibilizzati dai documenti femminili, ma sulla parziale lista di Wikipedia se ne trovano due.
Per fare in modo che le vittime non siano solo numeri, percentuali, mappe colorate occorre fare una serie di riflessioni partendo proprio dall’omicidio romano. Il 62% delle vittime sono sex worker. Lavoratrici senza diritti, senza tutele e senza difese nei confronti di aggressioni.
Il paese con il più alto tasso di omicidi è il Brasile, con 171 morti nell’ultimo anno. RedeTransBrasil.org ne conta però 174 includendo anche i suicidi. Per ogni vittima c’è una breve descrizione della morte, l’età e una foto, da viva o da morta. E poi 58 tentati omicidi e 104 casi di violazione dei diritti umani.
Considerando che in Italia lo stereotipo della donna trans è la prostituta transessuale brasiliana munita di un grosso pene funzionante, forse qualche riflessione andrebbe fatta. Le sex worker brasiliane sono in Italia anche per non essere uccise nel proprio paese di origine e non è nemmeno detto che siano venute per fare le sex worker, o magari sì. E inoltre cosa facciamo per tutelare loro e il loro lavoro? Che strumenti diamo loro per renderle indipendenti? Quanti corsi di autodifesa vengono attivati per loro? Quante sono? Come possiamo contarle se le leggi sulle migranti si mettono di traverso? Si parla tanto di numeri delle persone morte ma di quelle vive non ne abbiamo traccia.
Viste le difficoltà per ottenere una rettifica i documenti riporteranno il nome anagrafico, i giornali continueranno inoltre a usare lo stesso, sempre esotico, lontano, incastonato nella pagine di cronaca nera.
Senza nulla togliere agli altri stati sudamericani, Messico, Colombia, Venezuela e Honduras, che accompagnano tristemente il Brasile, gli Stati Uniti si posizionano al terzo posto con 25 omicidi. L’86% sono donne di colore o native americane, cioè quasi 22 su 25, cioè quasi tutte.
Il New York Times afferma che la violenza transfobica negli Stati Uniti sta crescendo. Perché sta crescendo il panico antigender, perché la destra è sempre più forte, perché i bagni sono diventati terreno di scontro, perché Trump.
Le vittime più giovani avevano 17 anni. Sufaid, in Pakistan, uccisa da un suo amico. Ava Le’Ray Barrin, in Georgia, uccisa da due conoscenti dopo una lite. Ally Lee Steinfeld in Missouri: ripetutamente pugnalata, sul corpo e ai genitali e poi bruciata. Il responsabile è un ragazzo di 18 anni, complici due ragazze di 18 e 24.
Per parlare del TDOR servirebbe sempre un’ottica intersezionale, poiché noi persone trans non siamo solo trans, ma spesso anche sex worker, migranti, disoccupate, nere, e morte.
A Bologna l’appuntamento è lunedì 20 alle 18:30 in piazza del Nettuno.
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