Il documentario di Dan Hunt e Joy E. Reed vede protagonista la famiglia McCarthy, in particolar modo come viene vissuto l’essere trans dei due figli. Sia Luca, il fratello maggiore, che Ren, la minore, vivono infatti il genere che si sentono di appartenere. Ren decide di prendere parte al concorso Lil Miss Westie Pageant come prima ragazza transgender, a cui aveva partecipato anche Luca, diversi anni prima, e che ora le fa quindi da coach.
La loro vita quotidiana, fatta di questioni di genere e percorsi dei figli, ma anche di feste di compleanno e rapporti umani, si alterna alle scene di gran fermento e preparazione per questo piccolo grande evento.
Ogni componente della famiglia ha il suo spazio nella narrazione, ma è la madre che interfaccia lo spettatore, e invita alla comprensione con molta naturalezza. Certo, è difficile gestire la transizione di entrambi e i giudizi esterni, ma non ha paura di chiedere aiuto e di capire, mettendo la loro felicità prima dei pregiudizi.
Uno spaccato di vita di persone che cercano di fare molto più che sopravvivere, nonostante il film sia girato negli Stati Uniti dei giorni nostri, un periodo non sereno per chi è gender nonconforming, viste le politiche trans escludenti e discriminatorie verso tutte le persone LGBT+ del presidente Donald Trump.
Il film smonta un discorso classico della destra: la salvaguardia dei bambini viene rivendicata in tutti i Paesi come legittimazione dell’odio, mentre Little Miss Westie mostra come in realtà sia la destra stessa a danneggiare quelli appartenenti a minoranze. Il tutto assume quasi una connotazione tragicomica, quando i tempi vengono scanditi dalle notizie delle presidenza Trump alla radio. Nel frattempo, Ren indossa un vestito più bello dell’altro.
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