IL TESSUTO POLITICO DELLA TRAMA

Il 25 Dicembre Netflix e la storica casa di produzione Shondaland ci hanno sorpreso con Bridgerton, serie anglo-americana, ideata da Chris Van Dusen e prodotta da Shonda Rhimes. Tratta dal primo capitolo del ciclo di romanzi storici di Julia Quinn, si tratta di una narrazione intelligente che, oltre la superficie apparentemente frivola, richiede un pubblico attento.

Ambientata nel 1813, la serie si sviluppa sulla missione matrimoniale perseguita da madri e figlie nel contesto dell’alta società inglese. La famiglia Bridgerton è il punto focale delle dinamiche narrative: il racconto si apre con il debutto in società di Daphne, la figlia maggiore e in età da marito.

Stretta dalla gelosia ipocrita del fratello, libertino incallito che le fa da supervisore, Daphne stringe un patto di mutuo accordo con il bel Duca di Hastings.

Accompagnata dall’inarrivabile scapolo, Daphne risulterebbe più desiderabile e in grado di attirare un numero maggiore di pretendenti appetibili. Il Duca invece, ben lontano dall’essere semplicemente affetto da dongiovannismo, è restio a ogni vincolo matrimoniale e familiare, e verrebbe così liberato dalla chiamata al dovere di trovarsi una moglie e una futura madre per i suoi eredi. imulando il grande amore, la coppia riceve la consacrazione sociale nei Lady Whistledown’s Society Papers. Con questi foglietti scandalistici la misteriosa Lady Whistledown, voce narrante della serie, intrattiene e inventa al contempo il microcosmo sociale di cui lei stessa sembra far parte.

La presenza di una voce narrante femminile intradiegetica, cioè agente dello sviluppo del racconto dall’interno, richiama una lunga tradizione di strategie autoriali che giocano con la cornice stessa del racconto.

Infatti la cantastorie Lady Whistledown, personaggio interno all’intreccio, osserva i movimenti sociali dell’alta società inglese per poi tesserne le fila nella sua rubrica, letta persino dalla regina, creando uno sciame di pettegolezzi e complicando con le sue rivelazioni le relazioni stesse dei personaggi. La sua identità è sconosciuta fino alla fine , non soltanto a noi in quanto pubblico, ma anche alle sue e ai suoi stessi protagonisti, lettori e attori uniti in un gioco finzionale che sfiora quasi la metafiction.

Per tutto il tempo del racconto, Eloise Bridgerton – la meno incline al matrimonio della famiglia – rende Lady Whistledown la sua personale role model in quanto scrittrice e, quindi, emancipata e indipendente anche se donna. Indagando per conto della regina sull’identità della misteriosa tessitrice di gossip, la giovane nutre dei sospetti sulla figura della modista di famiglia, Madame Delacroix, spingendo  la suspense verso una suggestione affascinante, considerata la tradizionale metafora tra l’arte domestica della tessitura e quella letteraria.

Solo alla fine lo svelamento della vera identità della narratrice ribalterà l’architettura dei ruoli e dei personaggi dominanti. In un universo sociale in cui il matrimonio – vissuto come obbligo naturale e fatale – è uno strumento di elevazione sociale e di classe, e un vero e proprio mercato dove le donne (ma in certa misura anche gli uomini) sono ridotte a meri oggetti di scambio, il pettegolezzo e lo scandalo costituiscono minacce per qualunque forma di mobilità e di progresso.

La paura che hanno le giovani debuttanti di perdere il proprio onore a causa di presunti comportamenti licenziosi è legata all’angoscia del pensarsi zitelle in un mondo che, se privato della cornice significante del matrimonio e della famiglia, si priva di senso.

Per questo Lady Whistledown è la figura che detiene forse più potere tra le altre, un potere che è nel tessuto stesso delle sue parole. Con lo spazio dei suoi resoconti, la narratrice ha diritto di vita e di morte sociale sulle famiglie aristocratiche di cui studia al millimetro segreti e scandali. Senza svelare troppo togliendo gusto alla visione di chi ci legge, si può dire che la sua figura si disvela, infine, ribaltando gli stereotipi. 

Come è stato già sottolineato, uno dei grandi meriti della serie sta nel riproporre e rinnovare un genere che molti davano per morto. Quando nel primo episodio fanno la loro comparsa le giovani debuttanti al cospetto della Regina, Sua Altezza Reale è una donna nera. Il Duca di Hastings, compagno di Daphne e protagonista maschile del plot principale, è nero così come altri reali e figure di potere all’interno dell’alta società della Londra georgiana. Se la classe e il genere agiscono nel racconto come variabili determinanti il destino dei personaggi, la razza qui non costituisce alcun impedimento o elemento di vantaggio. La strategia straniante dell’utopia viene proiettata sulla Storia, in un’Inghilterra coloniale che solo nel 1807 aveva abolito il commercio degli schiavi neri nelle colonie. L’invenzione di un re che tanto tempo prima avrebbe sposato per puro amore una donna di colore, aprendo le porte della libertà e dell’alta società alle persone non bianche, libera la narrazione dal rischio di rappresentazioni stereotipiche e strumentali della blackness.

Il fatto che le cose non siano andate davvero così ci fa riflettere sul potere che la narrazione storica detiene e ha sempre detenuto nell’influenzare la rappresentazione delle identità storicamente oppresse, ed è forse proprio questa finzione lo strumento che l’arte ci offre per ribaltare visioni del mondo escludenti e culturalmente obsolete.

Immagine nel testo di Ren Arman Cerantonio, immagine in evidenza da everyeye.it