1938-2018: A 80 ANNI DALLA PROMULGAZIONE DEI “PROVVEDIMENTI PER LA DIFESA DELLA RAZZA ITALIANA” GLI ITALIANI DIMOSTRANO DI AVERE LA MEMORIA CORTA

di Fabrizio Ori

Nella storia ci sono inquietanti coincidenze. Le circostanze non sono mai uguali ma si assomigliano sempre e sembra che non si impari mai completamente la lezione del passato. La questione razziale è tornata di attualità a Trieste, dove furono preannunciate le “leggi razziali” o razziste, come si dovrebbe dire. Infatti lì si è messo in discussione nei mesi scorsi il patrocinio comunale a una mostra dal titolo “Razzismo in cattedra. Il Liceo F. Petrarca e le leggi razziali del 1938”. Il Sindaco di Trieste Dipiazza aveva giudicato il manifesto pubblicitario troppo “duro” ed “esagerato”. L’immagine era quella di tre studentesse con sovrapposta quella della prima pagina de Il Piccolo di Trieste che nel settembre 1938 annunciava la cacciata di insegnanti e studenti ebrei dalle scuole. Cosa il Sindaco volesse dire con questa richiesta di ammorbidimento lo sa solo lui, tanto è vero che il Comune si è poi scusato pubblicamente e la mostra si è comunque tenuta, nell’amarezza generale, in una sala privata. E l’amarezza, oltre alla coincidenza straordinaria del luogo e del tempo, è quello che rimane: evidentemente il clima è tornato favorevole e i moderni razzisti rialzano il capo. E noi siamo avviliti nel dover ancora sentire parlare di razze, dopo tutto ciò che è successo nel ‘900.

Serve a nulla quanto affermano continuamente gli scienziati, che le razze umane non esistono e che le nostre differenze sono dovute alle diverse condizioni ambientali in cui ogni popolazione è vissuta per migliaia di anni. Il razzismo è un’ideologia sbagliata che non può ammettere incertezze o tentennamenti, è stupida e soprattutto infondata e se deve esserci qualcosa di duro questo deve essere il contrasto a essa. Il presidente della Lombardia, Fontana, ha detto pochi mesi fa che la parola razza compare in Costituzione. Ma se questo è vero, è proprio per negarne l’esistenza e relegarla alla zootecnia. Questi rigurgiti paiono strumentali all’accaparramento da parte di alcune forze politiche della difesa del concetto di identità culturale. Ma non possiamo accettare che l’identità culturale di un paese sia presa in ostaggio da una parte politica e utilizzata per fare campagna elettorale. Abbiamo partiti politici che si arrogano il ruolo di difensori della cultura nazionale, che è sempre un mix di culture, seminando paura del diverso, inaridendo la cultura nazionale stessa, banalizzandola nella creazione di un “tipo italiano” un indigeno di maniera, degno di pizza e mandolino. Questa difesa è in realtà una gabbia, che fa regredire la parola cultura, la svilisce e la riduce a connotati fisici.

I governi nazionali spesso non sanno come risolvere ciò che sta alla base della loro esistenza, cioè il governo dell’economia, la pace sociale, il benessere complessivo della nazione, la tutela dei più deboli, condizionato come sono dalla loro stessa insipienza e da molteplici intrecci internazionali, così trovano dei capri espiatori, per lo più nelle minoranze. Ma attenzione, perché tutti, per un motivo o per un altro siamo minoranze. Dopo quelle tradizionalmente incolpate se ne possono sempre trovare delle altre: le puttane, i down, i vecchi… Allargano il bacino dei paurosi, che si sentono minacciati da qualcosa di esterno, dal diverso, dall’immigrato.

L’unica soluzione è allora il muro, fisico e metaforico. Poi, a furia di puntare il dito contro qualcuno, questo può diventare la canna di una pistola in mano a qualche matto e qualche matto che spara si trova sempre. Le stragi di Rosarno, di Macerata o anche solo le piccole scortesie nei confronti degli stranieri, non nascono per caso, ma sono il frutto di uno stillicidio di rancore e frustrazione che ha origini altrove e che piano, piano tracima. È la demolizione giorno dopo giorno della politica, che è arte drammatica della mediazione. L’antirazzismo non deve avere colore politico, deve essere praticato e predicato da tutti, senza distinzioni di nessun genere, perché tra le parole e il campo di Fossoli ci sono solo pochi chilometri.

immagine realizzata da Federica Perazzoli