Qualcuno pensi (davvero) ai bambini

di Carmen Cucci

A seguito di trent’anni di studi, nel 2004 l’American Psychological Association dichiara senza mezzi termini che “non ci sono prove che suggeriscano che le donne lesbiche o gli uomini gay siano inadatti a essere genitori o che lo sviluppo psicosociale dei figli di donne lesbiche o uomini gay sia compromesso rispetto a quello dei figli i genitori eterosessuali: non un singolo studio ha riscontrato che figli di lesbiche o gay possano considerarsi svantaggiati in un qualsiasi aspetto significativo (della loro vita) rispetto a figli di genitori eterosessuali”. Ed ancora, nel 2006, il Dipartimento di Giustizia canadese, in uno studio sullo sviluppo delle abilità sociali, afferma che un bambino cresciuto in una famiglia omogenitoriale svilupperà lo stesso livello di competenza sociale di un suo coetaneo cresciuto in un ambito eteroparentale. Per competenza sociale s’intende la capacità di conseguire una salute fisica e mentale ottimale, essendo educati alla gestione ed espressione corretta delle proprie emozioni.

Eppure, prima che inoppugnabili evidenze empiriche e scientifiche provassero a spianare la strada al pieno riconoscimento delle realtà omoparentali, già nel 2001 i Paesi Bassi legalizzavano le adozioni piene da parte di coppie omosessuali. Incoscienti visionari? No, semplice ratifica della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e della Convenzione Europea sull’Esercizio dei Diritti del Fanciullo, le quali prevedono la necessità imprescindibile di garantire il bene dei minori. Convenzioni che vedono l’Italia stessa come firmataria.

La genitorialità omosessuale, nel rapporto tra esistenza di fatto e riconoscimento formale, se rapportata al sistema giuridico italiano, si configura nelle linee generali (senza fare riferimento alle decisioni di singoli tribunali), come un ossimoro, ossia una realtà esistente e, contemporaneamente, inesistente dal punto di visto del diritto.
 L’indagine Modi.Di., finanziata dall’Istituto Superiore di Sanità, riporta che nel 2005, su circa 7.000 omosessuali, il 18% dei gay e il 21% delle lesbiche over 40 dichiara di avere figli. Nel nostro Paese, sempre nel 2005, sono stati stimati circa 100.000 minori che vivono con almeno un genitore omosessuale, la maggior parte nati all’interno di relazioni eterosessuali precedenti. Ancora, dai dati ISTAT risalenti all’ultimo censimento del 2011 risulta che le coppie di persone dello stesso sesso che hanno dichiarato di essere unite da un legame affettivo di tipo coniugale sono in totale 7.513, di cui 529 con figli.

L’abrogazione dell’articolo 5 del ddl Cirinnà riguardante la stepchild adoption brucia ancora, anche a distanza di un anno, soprattutto tenendo conto che non si trattava né di una novità, né di una prerogativa gay: esiste in Italia dal 1983 e permette l’adozione del figlio del coniuge, con il consenso del genitore biologico. In sostanza, è stato impedito solo agli omosessuali di continuare a fruire di un istituto già esistente. Ciò è espressione di una forte omofobia che si è, così, istituzionalizzata, reiterando una prospettiva adulto-centrica tesa a stigmatizzare l’omosessualità dei genitori, coinvolgendo i minori stessi in tale dinamica di svalutazione dei contesti relazionali omosessuali. 
Se metter su famiglia è diventato un privilegio – a prescindere dall’orientamento sessuale, a causa di un dispendio economico non indifferente – avere questo desiderio essendo omosessuale è un handicap in più al quale far fronte. Ed al 80% di italiani che ancora si dichiarano contrari all’idea di una famiglia omosessuale potrei ricordare banalmente che “gay”, oltre all’originario significato “allegro” della lingua provenzale, è l’acronimo di Good As You. Anche come genitore.

pubblicato sul numero 26 della Falla – giugno 2017