di Giuseppe Seminario
Solo domande.
Emergono solo domande dalla situazione in cui ci troviamo. Siamo alla ricerca di risposte. Quelle che ci consentiranno di tornare alla normalità. Ma di quale normalità stiamo parlando? Di quella in cui produrre a tutti costi è l’unica direzione possibile? O di quella in cui vivere esclude qualsiasi attività sociale, riduce gli spazi politici, limita i diritti personali perché l’economia deve ripartire nonostante l’emergenza non sia rientrata e nonostante i cambiamenti climatici ci dicano di ridurre i ritmi di questa umanità?
Solo domande mi vengono in mente, ascoltando le voci che mi circondano, generate in un limbo in cui i congiunti sono la paura e la rabbia. Come tornare ad attraversare lo spazio pubblico in piena sicurezza? E di quale sicurezza stiamo parlando? Come tenere insieme rivendicazioni politiche e salute? Come stare in una piazza senza essere accusate di mettere a rischio le vite altrui per rivendicare diritti sociali, economici e politici che, agli occhi della maggioranza, non sono vitali e che invece per chi vive ai margini sono strettamente necessari per poter vivere e poter accedere anche alle cure?
Solo domande se guardiamo alle storie di chi ha lottato e di chi lotta. Se il 28 giugno di 51 anni fa non ci fosse stata la rivolta allo Stonewall Inn dove saremmo ora? Se non si fosse alzata la protesta tra le strade di New York che ne sarebbe oggi delle persone LGBT+? Se centinaia di migliaia di persone nere non avessero invaso il Lincoln Memorial a Washington DC il 28 agosto 1963 ci sarebbe ancora la segregazione razziale? Se, oggi, non attraversassero gli spazi cittadini di Minneapolis, New York, Los Angeles, dopo l’ennesimo omicidio razzista consumatosi il 25 maggio 2020, chi lotterebbe contro un sistema che resta ingiusto e violento? E in che modo?
Trovare le risposte a queste domande è una sfida che siamo chiamate a cogliere il prima possibile, partendo da noi stesse; un noi collettivo, composito e permeabile, che dello spazio pubblico ha fatto il suo banco di prova: per avere visibilità quando non l’aveva; per essere libero di andare in giro come gli pareva; per prendersi piazze e strade sempre più grandi contro avversari sempre più piccoli.
In un anno sconvolgente, in cui i pride si traducono in bit, non possiamo non porci queste domande; e non possiamo trovare risposte da sole. Uniamoci e troviamole il prima possibile e attraversiamo gli spazi che ci sono stati negati, non solo in quarantena, ma nelle nostre vite. Lo dobbiamo a chi ci ha precedute.
Pubblicato sul numero 56 della Falla, giugno 2020
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