IL TDOV TRA IPERVISIBILITÀ E AUTOCONSAPEVOLEZZA 

di Mattia Vannetti

“Hyper-visibility”, iper-visibilità, è il termine con cui Alexandre Baril ha definito la condizione per cui l’essere trans porta con sé un interesse morboso e immotivato rispetto alla propria sfera personale, proprio in quanto trans. Lo stesso Baril denuncia come nella sua carriera di accademico che concentra le sue ricerche su tematiche queer e di genere, spesso l’attenzione alle tematiche trans si traduca, anche in occasione di scambi scientifici, in «un’insaziabile curiosità» riguardo la sua personale transizione, una curiosità «guidata dal desiderio di mostrare i cambiamenti del corpo e di narrare questa storia intima al pubblico». È un desiderio che mostra come da parte della società cisnormata ci sia non solo l’interesse di leggere l’essere trans come il racconto di storie intime e biografiche, ma anche il credere che sia diritto del pubblico cisgender pretendere una confessione di questo tipo da parte della persona trans. 

Essere una persona trans significa avere a che fare in maniera costante con questo tipo di visibilità, che permea il nostro quotidiano e con cui spesso si ha un rapporto controverso, che ci porta a fare i conti con il significato e l’importanza sociale del passing, fa riflettere in maniera più o meno consapevole sulla nostra espressione di genere e si perpetua in tutte le occasioni di visibilità materiale di cui diveniamo oggetto ogni giorno.

Quello di visibilità è un concetto che riveste una dimensione ampia che, sebbene parta da un livello personale, investe il plurale, lo strutturale, il politico. Si tratta di livelli diversi, ma profondamente intersecati tra loro e al tempo stesso contrapposti, che si risolvono in un paradosso: da una parte abbiamo un personale iper-visibile, e che si pretende tale, ma dall’altra, a un livello strutturale – cioè legale, medico, politico – essere trans significa essere invisibili.

Questa ambivalenza affonda le radici nello stesso terreno, nello stesso costrutto sociale e politico, fondato sul sistema cisnormato ed esclusivamente binario, in cui l’essere trans rappresenta non una minoranza ma un’eccezione. 

Un’eccezione che è necessario rimanga tale e che quindi può essere oggetto di attenzione solo a livello di interesse morboso sul personale, senza inserirlo in un apparato critico più vasto, in modo che sia proprio l’ipervisiblità a essere funzionale all’invisiblità. 

Questo perché rappresentiamo, con la sola nostra esistenza, una lacerazione nel tessuto sociale, politico, istituzionale: uno strappo che legge e società si impongono di riparare apponendo toppe provvisorie e che pretendono di mostrare solo attraverso confessioni stereotipate. 

Muoversi all’interno di una società le cui regole non prevedono la nostra esistenza, essere visti e raccontati come irregolarità, significa anche introiettare la necessità di scomparire, di adeguarsi cercando di inserirsi dentro l’unico schema disponibile.

Riflettere sul nostro essere trans, significa innanzitutto offrire qualcosa a noi stess*, come soggettività che si identifichino e prendano coscienza della propria dimensione dissidente nel mondo, a partire dall’esperienza personale senza che rimanga fine a se stessa. 

Riconoscere di essere campi intersoggettivi, non malgrado i nostri corpi e la nostra storia, ma perché noi siamo, attraverso i nostri corpi e le nostre storie.

Dobbiamo costruire una nuova consapevolezza che passi attraverso la creazione di una memoria e una storia trans, che sfugga dall’iper-visibilità e dalla logica della confessione prodotta e destinata all’appetito cisgender, e che ci veda come soggetti protagonisti, narratori, ma anche primi fruitori.

È necessaria una presa di posizione, una rivendicazione della nostra visibilità, non come punto d’arrivo, ma come strumento atto a scardinare la costruzione politico-sociale binaria e cisnormata. Dobbiamo rivendicare i nostri corpi come possibili e non come eccezioni da normalizzare, le nostre identità trans come legittime e non come storie di passaggi da un lato all’altro del binarismo. 

La giornata del Trangender Day of Visibility serve a ricordarci questo: che siamo ancora uno strappo in quel tessuto politico e sociale che cerca di coprirci con una toppa, ma che è in nostro potere stracciarlo definitivamente, attraverso la nostra visibilità consapevole e dissidente.

Immagine originale creata da Ren Arman Cerantonio