All’inizio del 1982 il Comune di Bologna compie un passo di portata storica: in anni di intense proteste e rivendicazioni, decide di assegnare una sede al Circolo Culturale Omosessuale 28 Giugno, che diventerà poi il Cassero. Il 5 marzo del 1982 sul Resto del Carlino compare il titolo: Assegnato dal Comune ai “gay” il cassero di Porta Saragozza. Sono proprio le compagne del 28 giugno ad aver ottenuto quel risultato e a popolare le pagine dei giornali di quel periodo.

Ma non è che fossimo proprio le benvenute nel quartiere. Gli articoli di giornale e le lettere al resto del Carlino danno un’idea di quale fosse percezione dell’opinione pubblica rispetto all’assegnazione di quella sede:

«Lì vicino c’è una scuola, c’è uno stupendo giardino, c’è un’antica e bella porta, ci sono tante cose che forse non ci saranno più. Ma noi siamo decisi a tutto: i gay non li vogliamo e ricorreremo a tutti i mezzi leciti.»

Le nostre compagne erano viste come delle diverse, delle malate. A volte, in alcune testate giornalistiche, si legge anche ben di peggio. Ed è molto strano immaginare una Bologna così inferocita e così poco inclusiva, soprattutto se sei una di quelle persone che Bologna l’ha scelta per la libertà che oggi offre. Però era così, una parte della cittadinanza era fortemente contraria all’assegnazione.

Le nostre compagne attiviste dell’epoca non si diedero per vinte. Avevano capito che la Comunità, per sentirsi tale, aveva bisogno di due cose fondamentali: una partecipazione egualitaria alla vita politica cittadina, attraverso cui rivendicare i propri diritti e un luogo in cui riunirsi, conoscersi, discutere, litigare e amare. Aveva bisogno di una casa. Ed è per questo che non hanno mai mollato un centimetro per Porta Saragozza. E, anzi, per celebrare l’inaugurazione fecero addirittura una festa in città di quattro giorni. Festa che però, da come si legge in una pagina del Resto del Carlino del 27 giugno 1982, non andò poi troppo bene: 

«siamo in pochi e c’era da aspettarselo – dice uno spilungone dal trucco un po’ pesante – tanti di noi hanno ancora paura a farsi vedere per strada”. “è difficile – aggiunge un altro – uscire dal ghetto. Il mio fidanzato era iscritto alla sezione universitaria comunista. Quando gli ho detto che non potevamo più continuare a nasconderci e a fingere di essere ‘normali’, mi ha piantato».

Una cosa divenne subito chiara: la casa che avevamo appena conquistato era tra le altre cose una delle più belle e di pregio che potessero esserci. 

Non solo ci venne assegnata una sede, ma in particolare una sede molto prestigiosa, architettonicamente visibile, in un luogo della città molto frequentato. Indipendente ma alla portata di tutte e tutti. l’assessora alla cultura Sandra Soster venne ritratta impegnatissima in un valzer con «uno dei gay» e si scrisse che dai due piani inferiori giungevano i gridolini di sorpresa di chi non aveva ancora visto il cassero appena restaurato. 

Le nostre compagne hanno trasformato Porta Saragozza nella nostra casa. 

E da lì, dal 28 giugno 1982, la nostra comunità ha piantato le radici e ha cominciato a crescere e a lottare affinché i pregiudizi venissero messi in discussione e cancellati. Affinché potesse essere la casa di tutte. 

Da quel giorno, dal 28 giugno 1982, nonostante la nostra quotidianità si sia spostata nel parco del Cavaticcio, siamo Le Ragazze di Porta Saragozza.