L’Eden che non ti aspetti a Città del Messico

La prima cosa che stupisce arrivando a Città del Messico è la quantità di coppie omosessuali che si scambiano effusioni pubblicamente. Abituata a sentire storie e statistiche sulla violenza contro le donne nel paese, e dando per scontata l’associazione tra machismo e omofobia, non mi aspettavo assolutamente di trovare un tale livello di visibilità, superiore a qualsiasi posto in cui abbia vissuto finora. Certo, l’impressione è sicuramente mediata dal fatto di muovermi largamente nell’ambiente universitario o comunque nei quartieri più benestanti del centro; immagino che la situazione sia probabilmente diversa nella Ciudad Perdida, uno dei più vasti slum del mondo, situata nella zona nordest della città, dove prevalgono alti tassi di violenza e crimine.

Dal punto di vista legislativo, sia il matrimonio che l’adozione sono legali nella città, così come in altri 11 stati messicani è possibile sposarsi e in 9 adottare; in Città del Messico e in altri due, invece, le persone transgender possono cambiare legalmente il proprio nome e genere. In tutto il paese è riconosciuto il diritto alla fecondazione in vitro per le coppie lesbiche, così come quello di donare il sangue per uomini omosessuali o bisessuali, e sono in vigore leggi contro la discriminazione.

Ma è soprattutto per quanto riguarda la vita sociale, culturale e organizzativa che Città del Messico brilla, offrendo una scena LGBT+ vibrante e variegata: da una parata del Pride che quest’anno ha coinvolto 175 mila partecipanti e nel 2018 festeggerà il quarantesimo anniversario; alla varietà di locali e discoteche per tutti i gusti che proliferano nei quartieri Centro, Roma-Condesa, Zona Rosa e Oriente, e che probabilmente non basterebbero anni per esplorare completamente; alla compagnia di danza México de Colores che reinterpreta in chiave gay il tradizionale folclore messicano. E ancora saune, serate di salsa esclusivamente per donne, sportelli di assistenza sanitaria rivolti alle persone transessuali, hotel tematici accessoriati con sex toys, feste di drag.

Ciò che colpisce è soprattutto l’atmosfera di liberalizzazione generale della sessualità che si respira nella città, che rende difficile tracciare una divisione netta tra ambienti queer e non: nella mia prima esplorazione della discoteca gay Divina ho visto coppie con tutte le possibili combinazioni di generi, gruppi di tre o quattro persone insieme, e un grande numero di donne – che generalmente sono sempre una piccola minoranza, a meno che non si tratti di una serata a loro dedicata. Una boccata d’aria che conferma Città del Messico il mio posto preferito fino ad ora come approccio alla sessualità. L’unico problema sono i ritmi: l’animo latino prolunga le feste fino a tarda notte, e le dimensioni della città rendono il ritorno a casa una questione anche di ore, con il risultato che difficilmente si vada a dormire prima dell’alba. Insomma, ci vuole un fisico bestiale.

pubblicato sul numero 29 della Falla – novembre 2017

immagine realizzata da Carmen Ebanista del collettivo artistico Gli Infanti