8 marzo 2020, la Giornata Internazionale delle Donne. Sono arrivata da poco più di tre settimane a Cracovia per un Erasmus. In questo periodo ho vissuto una Polonia moderna, accogliente (seppur alla fredda maniera del nord), internazionale, dalle prestigiose università e i tanti studenti, verde, ordinata e pulita. Mi è sembrato di trovarmi in un tipico Paese del nord Europa, fino a quando non ho partecipato alla manifestazione dell’otto marzo.

Saputo dell’evento dai miei amici, mi sono subito unita a loro per partecipare. Da buona studentessa universitaria bolognese, le manifestazioni per i diritti e l’ambiente sono appuntamenti doverosi.
Abbiamo raggiunto il corteo già a metà del percorso. Ha proseguito fino alla piazza principale di Cracovia, poco distante, e si è raggruppato di fronte a Bazylika Mariacka. Con la coda dell’occhio ho notato una decina di persone vestite di nero che si muovevano ai lati della manifestazione. La mia attenzione è stata presto richiamata dai discorsi al megafono.

All’improvviso, l’aria viene rotta dal pianto di un neonato trasmesso a tutto volume da grandi stereo. Alla nostra sinistra, una decina tra uomini e una donna esibivano dei cartelloni neri con foto di neonati e feti abortiti, inneggiando a vari discorsi pro-life: «chi abortisce uccide vite sacre» fino a «gli omosessuali sono pedofili». Una fila di poliziotti separava le due manifestazioni, entrambe legalmente autorizzate. Facce attonite e scioccate osservavano i cartelli neri: quei singhiozzi mandati in loop gelavano le ossa, in quel pianto si sentiva l’accusa verso chi non adempie alla figura femminile cattolica di madre, docile e servile.
Dopo i primi secondi di smarrimento, il nostro corteo ha risposto sovrastando il rumore del pianto a forza di fischi e urla, per poi ignorarlo e concludere la manifestazione ballando.

Nei giorni seguenti ho cercato confrontarmi con gente del posto, ma le persone con cui ho provato a interloquire mi hanno risposto che era un argomento troppo sensibile per discuterne via messaggio, oppure hanno portato la questione sul puro piano medico. L’unica disposta a parlarne è stata la mia coinquilina, che studia medicina. Mi ha raccontato di una giovane ragazza i cui piani per il futuro sono stati sospesi dal dover prendersi cura di un bambino con una malattia rara, destinato a morire dopo i primi anni di vita. O di un’altra ragazza, morta per aver continuato a portare in grembo un feto privo di vita, su pressione della sua famiglia estremamente cattolica. In tutto il discorso non ha mai tirato in causa il libero arbitrio delle donne nel decidere cosa fare del proprio corpo. La questione era rilevante nei casi in cui ne andava della vita della madre.

Buon otto marzo a tuttə! Che possa rimanere una giornata di festeggiamento per le conquiste, passate, attuali e future delle donne, e di lotta per tutto quello che ancora è da cambiare.

Immagini da neweasterneurope.eu