Nel 1894 il poeta francese Pierre Louÿs pubblicò una sua traduzione dal greco degli scritti di Bilitis, sconosciuta poeta greca del VI secolo a.C. Tali scritti trattavano temi saffici ed erotici e raggiunsero una certa notorietà, tanto che il compositore Claude Debussy ne musicò tre canti e la prima associazione lesbica negli Stati Uniti prese il nome della poeta.

Questo potrebbe apparire come un lodevole recupero di uno dei primi esempi di letteratura lesbica nella storia, se non fosse che Louÿs si è inventato tutto; dal ritrovamento dei testi durante un viaggio a Cipro, a un finto articolo di archeologia per avvalorare la sua scoperta.

Ancora oggi questa pratica continua a essere usata in numerosi ambienti online. Rispetto agli albori di internet, oggi è più comune presentarsi in rete con i rispettivi nomi e cognomi; tuttavia, basta cercare su Reddit, Quora o tra le puntate di Catfish per trovare storie di frequentazioni online con donne in realtà inesistenti, smascherate al primo incontro dal vivo o alla richiesta di una videochiamata. In particolare, è possibile notare anche una diversa piega di questo fenomeno: dietro alcuni blog e account di donne lesbiche si celano maschi etero cis.

Tra il 2007 e il 2011 Amina Abdallah Arraf al Omari diviene famosa come giovane attivista siriana, raccontando attraverso il blog Gay Girl in Damascus la Primavera Araba, l’escalation della violenza nel suo paese, e la sua esperienza di donna lesbica. Finché, nel giugno 2011 sua cugina aggiorna il blog al posto suo comunicando che Amina era stata rapita, catturata da tre uomini armati mentre si recava a una protesta.

La risposta della comunità LGBTQIA+ non si fa attendere: si moltiplicano gli appelli per chiedere la sua liberazione e gli Stati Uniti fanno sapere che si faranno carico della vicenda. È in questo momento che iniziano a nascere dubbi sulla reale identità della ragazza: numerosi giornalisti iniziano a segnalare incongruenze nei suoi post, scoprendo che a scrivere il blog è lo statunitense Thomas MacMaster, che ammette di aver creato Amina per poter partecipare più facilmente a discussioni online sulla politica mediorientale. MacMaster è stato a lungo criticato per essersi appropriato della voce di una soggettività marginalizzata, ma il suo caso è servito a svelarne un altro molto simile. Prima del blog, alcuni post a firma di Amina erano già presenti su LezGetReal, sito per lesbiche gestito da Paula Brooks. In questo caso non servirà investigare: Paula Brooks è un’identità fittizia e sarà lo stesso creatore ad ammetterlo all’indomani dello scandalo di Gay Girl in Damascus.

In Italia un caso simile è stato quello di Lexi Amberson, autrice lesbica di un blog con una voce femminile e queer molto riconoscibile che parla di sesso e politica, e che invece è scritto dal giornalista Filippo Facci, il quale rivela l’artificio nel 2006 con un post: «Lexi Amberson esiste, beninteso. Come esisto io. Il blog è suo, le foto sono sue […] ma li scrivo io. Da anni».

In questi ultimi due esempi non è facile capire dove finisca il gioco e inizi l’inganno, ma se in passato erano le donne a fingere di essere maschi per motivi sociali o economici, gli uomini, oggi, perché lo fanno?

Nel mondo del dating si specula che sia per depotenziare le pretese di altre donne su questioni sentimentali e non solo, oppure per esplorare relazioni diverse, più intime, avvertite dagli uomini come precluse proprio in virtù del loro genere.

Per riflettere su questo tema la studiosa dei media Allucquère Rosanne Stone, riporta l’esempio, divenuto celebre nei media studies, dello «strano caso dell’amante elettronico»: lo psichiatra Sanford Lewis venne scambiato per donna durante il collegamento a una chat line, e l’equivoco gli avrebbe permesso di condurre conversazioni più profonde di quelle avute presentandosi con il genere maschile. In seguito Lewis continuò a chattare creando un personaggio ben delineato – una donna estroversa e risoluta di nome Julie Graham – che divenne in fretta la confidente di un nutrito gruppo di donne, in alcuni casi sfiorando la dipendenza psicologica. Quando Lewis svelò la sua vera identità, le donne che aveva conosciuto reagirono con indignazione, arrabbiate per aver condiviso la propria intimità con una persona che non esisteva – anzi, con un maschio. [1]

È proprio su questo aspetto che Stone si concentra: nota che su Internet sia facile far emergere identità parallele alle nostre, anche inesplorate, mettendo quindi in discussione che concetti come l’identità siano immutabili.

Questa ipotesi non risponde del tutto al perché siano proprio le identità lesbiche a subire un’appropriazione. Era necessario che Amina fosse lesbica per rendere la sua storia credibile? Perché creare spazi online concepiti per questa comunità se non se ne fa parte?

Una risposta non è facile da dare, ma questo rapporto di tensione identitaria tra donne lesbiche e uomini etero cis può far sorgere domande sul rapporto tra queste due figure nella società, su come l’identità lesbica è considerata rispetto al femminile più canonico e sulla sua feticizzazione da parte dello sguardo maschile, e su come l’assumere identità femminili sia spesso stato un modo per dare voce a parti di sé che non riuscivano a trovare uno spazio nella tradizionale configurazione dei generi per esprimere idee e desideri sopiti. Tuttavia, è lecito anche domandarsi se questa particolare forma di appropriazione – oltre al più manifesto desiderio di credibilità – non celi anche il desiderio di un’espressione diversa che non annulli ma anzi coesista con la propria realtà quotidiana. Se così fosse, non solo metterebbe in discussione l’idea che per ogni corpo esista un solo io, ma suggerirebbe anche che questi io non parlino tra loro.

[1] Capecchi, S. L’audience attiva, 2004, Il Mulino