QUANDO LA NORMALITÀ È IL PROBLEMA

Sono qui per parlarvi della sQuola, quella con la Q, quella che non è stata in grado di cogliere le uniche opportunità forzatamente offerte dalla pandemia di Covid: mettere al centro i bisogni, indagare i desideri e impegnarsi a non lasciare nessun* indietro. Sono insegnante della scuola secondaria, sono insegnante di sostegno, sono genitore single e sono queer. Di fasce deboli me ne intendo abbastanza da poter affermare che l’emergenza Covid ci ha messo di fronte alla fragilità come caratteristica più condivisa dell’esistenza e, purtroppo, il sistema non è pronto ad affrontarne le conseguenze. Parto dal lockdown, una condizione di isolamento che potremmo vivere ancora, seppure in forme diverse, scuola per scuola. Come insegnanti di sostegno ci siamo trovate ad affrontare l’incognita di questa funzione contando esclusivamente sulla nostra auto-responsabilizzazione e creatività, ringraziando le educatrici che hanno continuato a lavorare nonostante fossero in cassa integrazione. Infatti nella scuola operano figure in condizioni contrattuali molto diverse e questo ha messo a forte rischio la continuità didattica con le/i ragazz* che più ne avevano bisogno. La sospensione di servizi fondamentali, come la psichiatria infantile e i servizi di cura, ha caricato le madri di tutti gli oneri (ma senza onori): cura dei figli, gestione della didattica a distanza, gestione della malattia e della solitudine, con probabile perdita del lavoro o del salario. La “didattica a distanza” è un ossimoro, non esiste una didattica che non sia in presenza e in relazione. L’inadeguatezza della sQuola si è dimostrata nella sua incapacità di mantenere questo dialogo e di cambiare gli obiettivi formativi per evitare esclusione e dispersione scolastica. Ci sono studenti che non torneranno a scuola: molt* sono stat* umiliat* attraverso la DaD e hanno vissuto l’estate con la minaccia del recupero a settembre.  Ricordate che non è stato possibile, giustamente, bocciare? Sappiate che le/i ragazz* – troppo spesso con bisogni educativi speciali (Bes) o con disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) – si trovano ora a portare tutto il programma dell’anno precedente per colmare i debiti formativi. Si tratta evidentemente di una punizione più che di un aiuto a recuperare l’anno perduto. Il livello di partecipazione degli studenti è stato l’unico strumento di valutazione agli scrutini finali ed è stato molto diverso a seconda della disponibilità di tecnologie e connessione, di spazi, di impegno che i familiari hanno potuto mettere nella DaD, a seconda della lingua o dell’istruzione, della capacità di mantenere concentrazione in posizione seduta davanti a uno schermo per molte, troppe, ore al giorno. Questo tipo di valutazione ha portato molt* docenti a indagare sulla mancata partecipazione cercando nelle famiglie le giustificazioni o la complicità punitiva. Come considerare oggettiva l’opinione della famiglia su* propri* figli*? 

La costruzione dell’autonomia e dell’indipendenza avviene al di fuori della famiglia. Magari la ragazza o il ragazzo è queer e la famiglia è omolesbobitransfobica, oppure vive una sanissima relazione conflittuale con i propri genitori. Allora perché non affidarsi alla comunicazione con la/lo studente? Anche qui ci sono difficoltà: da chi viene ascoltat* mentre parla? Ha uno spazio tutto per sé? La docente o il docente è dotat* di sufficiente empatia o coscienza critica per affrontare il dialogo o per tenere conto dell’interruzione drastica dell’importante costruzione di autonomia nell’adolescenza, visti i criteri con cui i docenti vengono assunti (test di logica e concorsi beffa)? In ultimo, ho vissuto una doppia DaD da genitore solo. Se il lavoro di cura non è riconosciuto, cosa succede rispetto alla sicurezza quando ci si ritrova davanti a uno schermo per 12 ore al giorno? Alla riapertura delle scuole, se mia figlia si ammala ho diritto a permessi non pagati per accudirla (stesso trattamento di una famiglia con due stipendi): come pago le bollette?  Il lavoro di cura pesa ancora tutto sulle donne e sulle soggettività femminilizzate – quello delle/i figli*, di anzian* e delle persone con disabilità. Quando si fermano i servizi, chi è costrett* a stare a casa dal lavoro sono proprio le donne e le soggettività femminilizzate. Anche il prossimo concorso per l’assunzione di insegnanti ha portato l’opinione pubblica a lamentare l’inerzia dei docenti non più disposti, soprattutto dopo gli effetti del lockdown, ad accettare incarichi in posti a caso. Nessuno si chiede chi può effettivamente cambiare sede per 5 anni nel contesto della divisione sessuale del lavoro nella nostra società. Se davvero fossimo capaci di mettere al centro i margini e le fragilità, di spodestare il finto neutro dei sogni del patriarcato, forse solo allora avremo una scuola migliore per tutt*.  Non possiamo tornare alla normalità perché la normalità è il problema.

Immagine nel testo da eun.org

Pubblicato sul numero 58 della Falla, ottobre 2020