Intervista a Maria Laura Annibali
di Irene Moretti
Maria Laura Annibali, romana de Roma, una passione viscerale per i cappelli e attivista LGBT. In
Cos’è per lei l’attivismo? Come lo vive?
Con una fatica fisica che non avevo certo quando ho cominciato, anche se la mia attività politica non è di molti anni: ho iniziato a 57 anni, prima ero una lesbica velata. Ho ricoperto un ruolo abbastanza importante nella Commissione tributaria provinciale di Roma. Ho provato forse a far capire chi ero, ma mi sono ritirata perché ho capito che il mio rapporto con i giudici sarebbe cambiato. E non in meglio. Forse è più faticoso dal punto di vista fisico ma per il resto io starei sempre in piazza. Perché te lo voglio dire: mi manca Piazza delle Cinque Lune, mi mancano queste cose belle che abbiamo fatto. Quasi mi ero abituata a ritrovarci tutte le settimane, un periodo veramente intenso e splendido. Poi c’è stata la marcia delle donne a Roma, alla quale ho partecipato tre giorni dopo essermi sposata. C’è solo il problema dell’acciacchetto in più, ma l’entusiasmo è quello di sempre. Io e Lidia ci siamo unite civilmente ma continuerò a stare sugli spalti finché ne avrò forza, perché voglio il matrimonio, le adozioni e una legge contro l’omofobia.
Cosa può raccontarci di quelle donne che non vogliono o non possono metterci la faccia come lei e Lidia?
Da quando abbiamo partecipato a Stato Civile abbiamo raggiunto una certa notorietà. Giorni fa è successa una cosa particolare, che mi dà la misura di quante donne hanno paura di non avere mai il mio coraggio. Una donna sulla cinquantina mi si è avvicinata ed ha chiesto “Ma lei è…?”. Ho detto sì ed è scoppiata a piangere. Lei è velata. Ha una compagna e ha paura che loro non riusciranno mai a fare il passo che io e Lidia abbiamo fatto, anche se lo vorrebbe. Per noi donne serve un coraggio particolare nel metterci la faccia.
So che voi giovani avete quelle specie di liste [le app, ndr] che a dir la verità a me non piacciono molto, ma non metto censure. A Roma per esempio c’è la Casa Internazionale delle Donne, in parte in mano alle separatiste. Organizzano incontri, teatro, balli e solo per donne: è un posto protetto dove puoi incontrare persone senza temere ritorsioni. Le manifestazioni, io direi di andarci sempre: a Roma ancora ci chiamiamo “lelle”, ancora non abbiamo il coraggio di chiamarci lesbiche. Nella mia associazione organizziamo una volta al mese incontri culturali. E mi auguro che là possano incontrarsi donne come abbiamo fatto io e Lidia. Lo stesso discorso vale per il Gay Village. Io e Lidia ci siamo incontrate là, quindici anni fa.
Come vive l’affettività in pubblico?
In televisione io e Lidia ci siamo baciate diverse volte, ma baci d’angeli, castissimi. Mi bacio con Lidia solo in posti nostri, sempre baci di affettività. Lei è più riservata e io non ho mai voluto forzare questa sua ritrosia. Una donna mi ha scritto su Facebook che vedendo i nostri baci in tv le è venuto da vomitare. Mi dispiace ancora di più perché a scriverlo è stata una donna. C’è una cosa che voglio ribadire, perché penso possa avere un valore aggiunto nelle nostre lotte: invece di parlare di omosessualità, perché non iniziamo a parlare di omoaffettività? Il significato è lo stesso, ma ha una valenza più poetica. Non intendo cancellare la parola “omosessualità” dal nostro vocabolario, solo affiancarle “omoaffettività”. Io stessa la utilizzerò per parlare di me e Lidia, e quando ci daremo un bacetto, magari anche per la strada, faremo sì che sia un simbolo rivoluzionario di omoaffettività.
Foto: Irene Moretti
Pubblicato sul numero 24 de La Falla – Aprile 2017
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