Un film di Floriane Devigne – Svizzera/Francia, 2018

Cromo Cosmi, sedicesima edizione di Gender Bender, ospita una preziosa pellicola sulla tematica intersex. In programma: 3 novembre ore 18.00, Lumière

Ni d’Eve, ni d’Adam, titolo emblematico che non ha nulla a che fare con il romanzo omonimo di Amélie Nothomb, segue con uno sguardo ravvicinato – quasi in prima persona – un periodo nella vita di Deborah, venticinquenne svizzera, e M., sua coetanea parigina.

Deborah e M. sono intersessuali, sono nate, cioè, con delle varianti biologiche dei caratteri sessuali. Varianti che rendono impossibile ascriverle con sicurezza nel genere maschile o femminile.

Il documentario fotografa il periodo in cui M. intraprende una corrispondenza con Deborah, conoscendo così, per la prima volta in venticinque anni, un’altra persona intersex.

La vergogna, la paura, la straziante solitudine di chi vive nella convinzione di essere sbagliata, e di esserlo da sola al mondo, sono sentimenti che M. accetta di condividere con lo spettatore, non avendo fatto altro, per tutta la vita, che cercare di essere invisibile. Trasparente.

Grazie a un espediente visivo di forte impatto – e anche un po’ straniante, all’inizio – M. si muove nel mondo, fa sport, studia, scrive al computer ma in realtà non c’è; c’è solo un corpo che non è ci è permesso conoscere finché lei per prima non vuole riconoscerlo.

Mentre procede la corrispondenza tra loro, Deborah ci accompagna nel suo viaggio di conoscenza ed esplorazione, tra il bisogno di incontrare altre persone intersessuali e le riflessioni sul genere e il binarismo maschio/femmina.

Ci apre le porte della sua vita e della sua casa, letteralmente, tanto da farci sentire nella stessa stanza quando assistiamo in diretta al coming out con la sorella, un momento d’intimità reale davvero toccante.

Ni d’Eve, ni d’Adam, come dice il sottotitolo, è solo una storia intersessuale. Ma di storie così ce ne sono così poche, che è nostro dovere conoscerle. Non soltanto per prendere coscienza di una parte della popolazione mondiale (circa 30 milioni) che rimane invisibile. Non soltanto per essere pronti e pronte se dovesse capitare ai nostri figli o alle nostre figlie, evitando loro di essere sottoposti/e a interventi di chirurgia correttiva, tanto inutile quanto dolorosa.

Dobbiamo conoscerle, soprattutto, perché queste storie ci aiutano a (ri)mettere in discussione il concetto di genere come nient’altro può fare.

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