Quattro stagioni per un totale di 24 episodi: questa serie trasmessa in patria su France 2 e distribuita in Italia da Netflix si guarda tutta abbastanza in fretta, anche grazie alla durata di ogni singolo episodio che si assesta sempre attorno ai 45/60 minuti. Dix pour cent (Dieci per cento) in italiano è stata tradotta con Chiami il mio agente! ed è un peccato, perché la resa è molto meno incisiva dell’originale e fa perdere al prodotto parte della sua identità. Dieci per cento è, infatti, la percentuale che ogni agente riceve sul cachet del proprio artista e di questo si parla: non di artisti – banale farlo dopo tanti programmi incentrati su di loro – ma di chi sta loro alle spalle, sempre un passo indietro: gli agenti, per l’appunto.

I protagonisti lavorano per la Agence Samuel Kerr (Ask), importante agenzia di scouting e impresariato di Parigi che cura soprattutto gli interessi di attori e attrici; loro il compito di procacciare agli assistiti i lavori migliori, ma anche di assecondarli in tutte quelle piccole e grandi manie che li caratterizzano, o di prestare alla star del momento orecchio e spalla, quando si trova in difficoltà. La narrazione è fresca e incalzante: gli spunti narrativi sono presentati in modo ironico e i vari protagonisti si mostrano fin da subito sulla scena attraverso i propri difetti. Abbiamo Gabriel, ansiogeno e disorganizzato ma sensibile e di buon cuore; Arlette, voce dell’esperienza un po’ âgée ma spiccia e disincantata; Andréa, bisessuale stakanovista, incapace di una relazione duratura che si troverà a imparare a conciliare famiglia e lavoro; infine, Mathias, socio anziano della Ask, senza scrupoli e dalla vita privata complessa. A loro si affiancano una serie di comprimari, personaggi ricorrenti che diventano essenziali ai fini della trama, tanto quanto lo sono gli agenti, come i loro assistenti (Camille, Noémie e Hervé) o Samuel, che compare in una sola puntata ma sarà una presenza fondamentale in tutte e quattro le stagioni.

Curioso il cambio di prospettiva cui la serie ci costringe: i grandi nomi che costellano gli episodi, una volta si chiamavano guest star, qui interpretano molto spesso la parte di sé stessi. Uomini e donne alle prese con un mestiere bizzarro, detronizzat* dall’altare del successo (francese, soprattutto, ma ci sono anche figure di spicco internazionale come Sigourney Weaver) e mess* al loro posto, all’interno di un ingranaggio complesso come quello dello showbiz. Dix pour cent è riconosciuta dalla critica come una delle serie francesi migliori dell’ultimo decennio, che si spoglia dallo snobismo intellettuale di cui sono spesso tacciati i cugini d’oltralpe, in favore di un linguaggio più accessibile. Questo dramedy, crasi tra drama e comedy, ci racconta di un mondo patinato che è solo una piccola parte di quello reale.

La serie ha ottenuto ottimi ascolti sia in patria sia in molti altri Paesi, anche grazie alla distribuzione globale di Netflix, tanto che Canada e Turchia ne hanno già prodotto dei remake mentre sono in lavorazione dei progetti per Cina, Regno Unito, Germania e Spagna; anche l’Italia si sta muovendo per acquisirne i diritti, ma se pensiamo a un prodotto televisivo che parla del proprio mondo, ritrovarci sul set di Boris è molto facile. Non che i due prodotti siano la stessa cosa: in primo luogo, la serie trasmessa fra il 2007 e il 2010, di cui è appena stato annunciata una quarta nuova stagione, racconta di una certa televisione italiana (budget risicati, attoruncoli sovrastimati e autori per nulla ispirati) mentre Chiami il mio agente! ci immerge nel cinema fatto di glamour, professionalità e fama. Potrebbero anche sembrare temi simili, ma che vengono affrontati con registri stilistici molto diversi fra loro: se il lavoro «de’ casa nostra» è intriso di quella becera, bonaria, raffazzonata italianità che rende certi nostri connazionali amati e, al tempo stesso, odiati in tutto il mondo, la produzione francese racconta lo spietato arrivismo di certi ambienti lavorativi parigini; se in Boris la narrazione è attualizzata con siparietti dal sapore puramente politico, con Dix pour cent ci troviamo davanti a una critica del costume, che sposta il gusto dal satirico al cinico.

Anche la figura che dovrebbe rappresentare la comunità LGBTQIAP+ all’interno degli show è caratterizzata da tratti molto diversi: la protagonista Andréa della serie francese è una donna bisessuale, in carriera, autonoma, capace e molto consapevole di sé (e lo diventerà sempre di più nel corso della storia); al contrario, Gustavo, assistente sociale omosessuale in quella italiana, si porta dietro tutti gli stereotipi di un personaggio macchiettistico e abbozzato con il solo scopo dell’essere deriso.

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