Se la comunità teme il proprio corpo

Il covid allenta la sua presa e tornano, mai del tutto sopite, le manifestazioni di piazza. È del weekend appena trascorso la mobilitazione nazionale per la discussa legge sull’omolesbobitransfobia, il Ddl Zan, come di ieri è l’Idahobit. E puntuale come la morte ecco che torna il perbenismo: qualche foto della manifestazione in piazza del Nettuno a Bologna è sufficiente sia a scaldare il cuore a chi sentiva nostalgia di un movimento in rivolta, sia a far tremare i benpensanti nelle loro sottane. Un cartello, tra i tanti nelle tante foto, recita «Lotta anale»: non sia mai!

Nemmeno il tempo di rilassarsi e c’è chi, molteplici persone a onor del vero, cerca di scatenare una polemica sui social attorno all’opportunità di un cartello di questo tipo: «Presta il fianco alle destre»; «Io non lotto con il culo»; «Perché questa volgarità?»; «Viene il sospetto che sia stato fatto a regola d’arte per qualche trasmissione televisiva».

Che Mieli non riposi in pace insomma, ma neppure Preciado (che a leggere affermazioni del genere si sveglierebbe come minimo col mal di pancia), non solo perché chi ha un attimo di memoria può supporre che sul retro del cartello ci sia il ben noto seguito «contro il capitale», ma perché la realtà è quella di un pezzo di comunità, popolazione, o dir si voglia, LGBTQ+ ferma nella stessa palude di normalizzazione del movimento omofilo che reggeva il palco prima di Stonewall. 

In giacca e cravatta dunque, e senza irritare nessuno (il maschile qui è d’obbligo!), borghesi più dei borghesi e, soprattutto, spaventate! 

Dei modi e dei temi da portare in piazza si può certamente discutere, ma almeno su un punto non dobbiamo, né possiamo, retrocedere: il nostro corpo. Volenti o nolenti la nostra lotta è anale anche perché sono le nostre pratiche ad averci fatto, e farci, uccidere nel mondo, non certo una platonica amicizia come piacerebbe all’eteropatriarcato, ma il sordido godimento di corpi che non vogliamo vengano controllati in alcun modo. 

Dovremmo compiacere chi ci odia nella speranza che cadano dalle tasche del privilegio briciole di diritti? La mediazione spetta al gioco della realpolitik, lasciamo che le piazze strappino a viva forza l’intera pagnotta.