Un’analisi della narrazione mediatica del conflitto in Ucraina

Dopo oltre due mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, ne abbiamo viste abbastanza sui media mainstream – tutti, dalla stampa alla tv ai social – da poterci permettere qualche riflessione generale. Che la tendenza dominante dell’intero sistema mediatico sia spettacolarizzare qualunque evento, anche il più tragico, non è una novità. La tendenza è da sempre trainata dalla televisione, che non è affatto morta, a dispetto dei reiterati annunci, non solo perché si continua a guardarla su vari schermi e piattaforme, ma perché se ne ritrovano generi, formati e stili su Internet, da YouTube all’ultimo social. Vediamo allora come i media stanno costruendo, ora dopo ora, lo spettacolo della guerra in Ucraina. Focalizzerò solo i tratti che si ripetono con più insistenza, il che non vuol dire che non ci siano eccezioni. Onore a loro.

L’eccitazione di chi parla in studio

Di fronte a un aggiornamento inaspettato, una breaking news, ma anche all’inizio o nel bel mezzo di un tg o talk show, la faccia del conduttore o della conduttrice, del commentatore o della commentatrice in studio, la loro gestualità, il tono e il volume della loro voce hanno spesso un che di eccessivo, sopra le righe. È tensione per lo stato di allerta perenne, a ben pensare. Ma sembra quasi contentezza, purtroppo. Eccitazione per la straordinaria audience che la guerra induce, purtroppo. Anche perché, spesso, l’eccitatə di turno ci aggiunge un sorriso: il mestiere gliel’ha insegnato, ma durante una tragedia sarebbe meglio non sorridere. 

Controprova. Guardate le facce degli inviati e delle inviate al fronte: occhi rossi, lineamenti tesi, nessun sorriso.

Il commento musicale

Tutte le carrellate di immagini e le videoriprese delle scene più crude, quelle con i palazzi sventrati, i cadaveri riversi per strada, lə bambinə che piangono, le madri disperate, sono accompagnate da musica drammatica di repertorio. Serve a sottolineare il dolore e suscitare nel pubblico ancora più empatia di quanto le sole immagini farebbero, a ben pensare. Ma è lo stesso genere musicale che accompagna gli spot che vogliono emozionare, le scene drammatiche nelle serie televisive, i momenti di suspense nei thriller. Risultato: la realtà si confonde con la fiction e le immagini dall’Ucraina perdono realismo invece di acquistarne. 

Controprova. Pensate a come sono inquietanti, addirittura angoscianti, in tv o al cinema, le immagini di morte se, dopo voci e frastuono, scorrono nel perfetto silenzio. 

Le immagini sfocate

Per proteggere la privacy delle persone coinvolte e tutelare il pubblico dalla visione di dettagli cruenti, le foto e le videoriprese sono sempre opportunamente sfocate. Giusto, non potrebbe essere altrimenti, a ben pensare. Ma questo contribuisce, da un lato, a togliere realismo a ciò che vediamo, dall’altro, a diminuire la nostra capacità di empatia, perché gli esseri umani risultano spersonalizzati. Inoltre, stimola la curiosità morbosa: non riuscendo a vedere i particolari, siamo infatti portati a indugiare sulle scene fotoritoccate e a tornarci se sono riproposte, sia per capire meglio cosa c’è, sia perché sappiamo di essere protetti dal peggio. 

Controprova. Pensate a quanto rapidamente tendiamo a distogliere lo sguardo davanti a un dettaglio raccapricciante. Voltandoci all’istante, vediamo poco e niente, ma l’intensità del turbamento rende più probabile provare empatia e ricordarsi del brutto momento. 

L’insistenza sui bei volti

I tratti somatici prevalenti nella popolazione ucraina sono per noi non solo familiari, perché simili ai nostri, ma spesso ci sembrano gradevoli, attraenti, perché hanno qualità incluse in un certo standard di bellezza occidentale, specie femminile e infantile: occhi grandi e chiari, zigomi alti, incarnato bianco, capelli biondi o castano chiaro. È inevitabile, allora, che le foto e le videoriprese di guerra includano primi e primissimi piani su volti, occhi e bocche di donne, ragazze, bambinə che ci appaiono bellə, spesso bellissimə. È inevitabile, inoltre, che si moltiplichino le apparizioni televisive di donne ucraine, in studio e a distanza, anche quando non sono né giornaliste né esperte di niente, ma solo testimoni. Certo, il contrasto fra la bellezza e la devastazione serve a trasmettere con più efficacia l’atrocità del conflitto, perché evidenzia ciò che distrugge. Ma condire la guerra di “belle presenze” contribuisce a renderla morbosamente attraente e addirittura a estetizzarla. Per non dire della strumentalizzazione di cui sono oggetto le donne e lə bambinə coinvoltə. 

Controprova. Pensate a quanto rare sono le apparizioni di persone e donne afrodiscendenti, come esperte o testimoni, quando si parla di migrazioni dal continente africano.

La rissa

Si dice spesso che il linguaggio dell’odio, l’aggressività verbale, il flaming e altre nefandezze siano una prerogativa dei social media. O siano addirittura colpa dei social. In realtà stanno in tv almeno dagli anni Novanta. Durante la pandemia abbiamo visto risse fra virologhə, fra scienziatə e no vax, fra politichə che cavalcavano o l’una o l’altra onda. In televisione e online. Oggi vediamo risse fra storichə e tuttologhə, fra espertə di geopolitica e giornalistə, e persino fra pacifistə. In tv e sui social. È giusto, perché siamo in democrazia, c’è libertà di espressione e tuttə hanno diritto di esprimere la loro opinione. Ma dare spazio alle più ignobili sciocchezze, affiancandole ai pareri più fondati e alle competenze più solide rende tutto uguale a tutto, e certo non aiuta il pubblico a distinguere. Inoltre, violenza chiama violenza, anche se solo verbale, il che fa male in tempo di pace, figuriamoci in guerra. 

Controprova. Osservate con quanta attenzione e rispetto il pubblico segue, nelle piazze italiane, i dibattiti fra studiosə autorevoli e capaci di fare divulgazione, durante i migliori festival culturali.

La ripetizione ossessiva

Tutto ciò è ripetuto, ripetuto, ripetuto. Su ogni canale, in ogni trasmissione, a ogni ora. Su tutti i social. È giusto, perché sta accadendo qualcosa di grave ed è sacrosanto informarsi. Ma il troppo stroppia: viene voglia di spegnere la tv, scollegarsi da Internet, darsi allo svago più frivolo. Tutto ciò è insostenibile, appunto. Come dicevo nel titolo.

Immagine in evidenza da bbc.com, immagine nel testo da primaonline.it e da theweek.co.uk