Esistiamo sul filo del rasoio. Noi marginalità oppresse abitiamo questo mondo come profughe, costrette a mimetizzarci o a lottare strenuamente solo per essere appena notate. La portata della nostra sopravvivenza è strettamente legata alla nostra forza di portare avanti quelle battaglie che ci hanno trascinato fuori dall’armadio, a occupare le strade e  le piazze, e quindi le coscienze, di chi abita una società che deve diventare anche nostra: deve essere di tutte. 

Siamo, oggi, di fronte a una crisi effettivamente senza precedenti. L’emergenza Covid, che ha ingoiato la nostra vita negli ultimi mesi, ha messo in risalto quanto siano volatili i traguardi raggiunti fino a ora, non solo portando via in un lampo le più importanti manifestazioni legate alle nostre rivendicazioni, come l’8 marzo, il 25 aprile e il Pride, ma esacerbando le disparità economiche e di trattamento che viviamo. 

L’intersezionalità delle nostre battaglie è messa alla prova come mai, proprio perché qui e ora lasciare qualcun* indietro è il passo più facile da compiere ed è anche il passo che non dobbiamo fare. La nostra forza è essere una comunità, mutevole, chiassosa, disomogenea e litigiosa, ma pur sempre schierata nella rivendicazione comune della propria esistenza e della propria rivoluzione. 

Esistiamo sul filo del rasoio quando siamo sole e disperse, ma possiamo acquistare una forza implacabile quando marciamo unite verso un futuro che vogliamo riservi  più diritti per tutte noi. 

Il Cassero è un esempio forse unico di tutto questo. Nel corso di quasi quattro decenni la sua capacità di farsi abitare dai nostri corpi e dalle nostre istanze gli ha permesso di sopravvivere e perdurare, rinnovarsi e non crollare mai. 

Ora che ha appena compiuto trentotto anni affronta una nuova sfida, dovrà cambiare, di nuovo, e speriamo debba farlo anche in futuro, perché le nostre battaglie tendono sempre verso un limite che ci piace spostare in avanti, ancora una volta e poi un’altra.