Decalogo sulla relatività della devianza alla luce delle dichiarazioni di Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni

Nemmeno ventiquattro ore dopo le polemiche sulla condivisione del video di uno stupro da parte di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia torna a far parlare di sé. Due giorni fa, infatti, la pagina Twitter del partito ha condiviso una grafica in cui elencava alcuni fenomeni etichettandoli come «devianze giovanili», aggiungendo che sarebbero state combattute dall’istituzione di un non meglio definito diritto allo sport: a quanto pare panacea di tutti i mali. Nell’elenco – accanto ad alcolismo, tabagismo e uso di droghe – comparivano obesità, anoressia e autolesionismo. Il tweet ha subito scatenato una polemica ed è stato prontamente rimosso, ma la candidata premier ha rincarato la dose con un video in cui si difende sia dagli attacchi legati allo stupro di pochi giorni prima, che al tema delle devianze. 

Nel video, infatti, Meloni si concentra su comportamenti che possono portare a una violazione del diritto positivo, lasciando da parte lo scivolone che includeva tra questi i disturbi del comportamento alimentare e altri problemi di natura psicologica. Potrebbe sembrare una questione secondaria, o addirittura essere considerata un’ingenuità, ma a ben guardare questi episodi sono la punta dell’iceberg di fenomeni più complessi con i quali la nostra contemporaneità non ha ancora fatto davvero i conti, e che occorre ricontestualizzare. 

In primo luogo l’inserimento di obesità e anoressia nell’elenco di cui sopra tradisce l’annosa percezione del nostro Paese – e ahinoi non solo della destra! – che i disturbi mentali e i corpi non conformi vadano declassati unicamente a fenomeni sociali la cui sostanza possa essere dissodata da una buona dose di olio di ricino e forza di volontà Dopotutto è stata la stessa Meloni a raccontare, presentando il suo libro autobiografico, di come da piccola fosse presa in giro da altri bambini per via del suo peso ma «in effetti ero grassa», ha dichiarato in diverse occasioni, suggerendo poi che quel bullismo subito le abbia dato la forza di reagire. Porre la forza di volontà come cardine per l’autorealizzazione è tipico di una forma mentis che abbiamo introiettato e finisce per colpevolizzare soggettività con fisicità non conformi, come le persone grasse, e chi ha forme di disagio psichico.Questo riguarda certo i disturbi del comportamento alimentare e in particolare l’Italia, dove solo di recente – e con enormi sforzi – si iniziano a muovere passi verso concezioni multidisciplinari di trattamento del fenomeno. Che qui si possa parlare banalmente di stigma è provato anche dal recente bando di assunzione di forze dell’ordine che poneva come cause escludenti, tra le altre, anche l’aver sofferto di Dca in passato.

Il problema però sta proprio nella parola “devianza”. Il termine, infatti, si porta appresso una somma di significati e la scelta di utilizzarlo, consapevole o meno, tradisce un’idea precisa di mondo. Il richiamo è alla dialettica norma-devianza di cui la sociologia ha avuto modo di discutere da almeno 150 anni, arrivando a conclusioni che dovrebbe far proprie chiunque si arrischi a proporre un’idea di società che possa adattarsi al nostro tempo. Accantonate ideologie che vedevano nella norma qualcosa di metafisico, è stato Emile Durkheim già sul finire dell’Ottocento a spiegare come la devianza non sussista nei comportamenti, ma nella reazione che suscitano nel contesto sociale in cui vengono attuati. Si parla in questi casi di relatività della devianza e il concetto è utile a smantellare l’idea di una società statica e sufficiente a se stessa come quella portata di fatto avanti da partiti come Fratelli d’Italia. Che la devianza sia di natura giuridica o sociale, la sociologia ci ha ben spiegato come la reazione sia la stessa: lo stigma, via via del colpevole o del diverso (e qui anche Foucault direbbe volentieri la sua). Lo sappiamo bene noi che da secoli subiamo condanne penali e discriminazioni per il solo fatto di agire comportamenti considerati devianti. Contestualizzata la parola, rimane la sostanza: l’offerta di Fratelli d’Italia, ancorché malcelata in una campagna elettorale molto incentrata sul tema della presunta competenza, non si limita a una gestione diversa della cosa pubblica in termini tecnici ma riguarda un sistema culturale che si vuole riportare alle «radice profonde della nostra società», come pare aver detto ieri Meloni al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. Una società che si ritiene possa fondarsi su un concetto di normalità (e non più norma) etichettando come sbagliati determinati comportamenti sulla base di posizioni puramente reazionarie. Non è chiaramente la parola “devianza” in sé a essere problematica – come movimento potremmo pure decidere di rivendicarla fino in fondo -, ma è il contesto di riferimento che malcela una stortura profonda. Che in una certa destra non si percepisca come esigenza il cambiamento sociale, e anzi si disperi di fermarlo, è evidenziato anche da alcune reazioni giornalistiche in difesa di Meloni, come dal dibattito nato attorno al video dello stupro. Si punta il dito su una strada abbandonata di notte dove le donne possono essere stuprate, quindi sul tema della sicurezza, ma non su quel sistema patriarcale che è alla radice del problema socio culturale della violenza di genere. Sorvegliare e punire, in un certo senso, ma mai cambiare.

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