Risposte all’emersione del disagio psichico legato al corpo e ai disturbi del comportamento alimentare, tra emergenze e nuove risorse

Secondo l’Oms, i disturbi del comportamento alimentare (Dca) sono tra le prime cause di morte in adolescenza, paragonabili per impatto sulla mortalità solo agli incidenti stradali. 

Questo dato dovrebbe far riflettere sull’importanza di una trattazione attenta e complessa dell’argomento, eppure il nostro Paese, e in parte l’Europa, ha iniziato solo di recente a prenderlo seriamente. Risale al 2018 l’istituzione della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla per la lotta ai Dca (15 marzo), e solo nella Legge di Bilancio del 2022 si è visto qualche sviluppo serio sul tema. 

È stato infatti istituito un Fondo per il contrasto dei Disturbi della Nutrizione e della Alimentazione che riguarda il biennio 2022/2023 con un impatto economico di 25 milioni di euro (15 per il primo anno e 10 per il secondo). Si tratta di un fondo cui potranno fare ricorso le regioni per implementare servizi di prevenzione e contrasto dei Dca: precedentemente, cioè fino quasi a oggi, la situazione era ben diversa. Il trattamento di questi disturbi è stato inizialmente in capo ai Sert, i Servizi per le Tossicodipendenze, per passare poi al trattamento ambulatoriale o di reparto in tempi più recenti. Tuttavia la ricerca scientifica in merito ha ampiamente dimostrato che è un approccio di équipe multidisciplinare a poter fornire migliori risposte e risultati. Il Fondo potrà essere infatti utilizzato per implementare questi servizi. 

Altra innovazione che riguarda i Dca è il loro l’inserimento, a partire dal 2022, in categorie specifiche dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza), rendendo così possibile l’estensione di esenzioni o prestazioni a carico del Ssn. 

Alcuni passi si stanno muovendo, ma mancano ancora dei fondamentali. Basta fare un salto sulla pagina del Ministero della Salute italiano per accorgersi di come i Dca siano menzionati all’interno delle pagine del sito dedicate alla salute della donna, il che è problematico perché se da un lato è vero che in termini assoluti la popolazione dal governo intesa come femminile presenta un più alto livello percentuale di casi, dall’altro emerge chiaramente dagli studi in materia che diverse sottopopolazioni specifiche incorrono in percentuali altrettanto preoccupanti. 

Richard Gordon, psicologo e ricercatore americano, ha teorizzato in un suo articolo del 1990 che l’esplosione epidemiologica dei Dca rappresentasse di fatto una nuova frontiera di manifestazioni del disagio psichico che assume forme diverse a seconda del contesto socioculturale. Volendo indagare questo aspetto, pare interessante e non casuale che la maggior incidenza di Dca si manifesti in soggettività oppresse o marginalizzate, donne e persone LGBTQI+ in testa. 

La sorveglianza, di foucaultiana memoria, passa in particolare attraverso il corpo e sono le categorie oppresse a pagarne maggiormente il costo. Tutti gli indicatori sollevati da Gordon, rispetto all’incremento dei Dca, dal ‘90 a oggi sono di fatto ancora presenti: difficoltà della transizione tra adolescenza ed età adulta; culto dell’immagine e del controllo del corpo; complessità e difficoltà nelle interazioni sociali. Quest’ultimo punto è poi particolarmente allarmante – o almeno si spera – se si pensa alla pandemia appena trascorsa. Tutte le associazioni di categoria e i centri ricettori di supporto ai Dca hanno denunciato un incremento dei casi a seguito dell’isolamento pandemico. E in effetti è a seguito di quelle denunce che si sono ottenute le piccole conquiste citate sopra. 

Ciò che appare evidente tuttavia è che le strade da percorrere siano ancora lunghe, tanto la reale comprensione del fenomeno, quanto la costruzione del miglior approccio di cura possibile.

Immagine in evidenza da rainews.it, immagine nel testo da radiosalute.it