LA RIVOLUZIONE DEI CORPI DA NON DIMENTICARE

Gli account ufficiali della Polizia di Stato, su Twitter e su Facebook, hanno pubblicato una foto di un poliziotto ripreso di spalle, immobile, in atteggiamento devozionale di fronte alla statua di un santo. La didascalia pubblicata riporta che «in questo momento così difficile la Polizia di Stato affida l’Italia al suo patrono e protettore San Michele Arcangelo, che nel 590 si racconta fermò l’epidemia di peste a Roma. Possa la sua protezione guidarci con forza per la sicurezza e la salute di ogni cittadino».

Dopo poche ore, il post su Twitter è stato cancellato perché il social network non permette di moderare, ovvero di censurare, le risposte degli utenti. Erano troppi gli insulti e le bestemmie che il tweet stava ricevendo. La funzione di cancellazione dei commenti è invece ammessa su Facebook, dove la foto è tuttora visibile. In calce alla pubblicazione sul social network di Mark Zuckerberg, sono numerosissimi i commenti che lamentano l’approccio anti-laico di un’istituzione tenuta per legge – lo dice una sentenza della Corte di Cassazione – a rispettare la laicità quale principio fondante della Repubblica Italiana.

La mia prima reazione è stata quella di commentare la foto sottolineando l’assenza di laicità – laicità intesa come bene comune di una collettività in cui debbono trovare uguale spazio di parola e di rappresentazione tanto le persone di fedi diverse quanto le persone atee.

Così ho commentato, eppure non ero soddisfatto. C’era qualcosa di più profondo che questo mio commento, come quello di molt* altr*, non stava cogliendo. Dopo ore a metabolizzare, sono giunto a queste conclusioni.

L’Italia non è nelle mani della Polizia e non può essere dalla Polizia affidata a nessuna entità. Ammesso e non concesso che ciò fosse possibile, la reiterazione di una superstizione anti-scientifica – affidarsi a un uomo morto che non ha fermato la peste, giacché la peste si fermò da sola – è quanto di più lontano dalle nostre reali necessità. Abbiamo bisogno di più scienza, di più indagini virologiche ed epidemiologiche, di coinvolgere più saperi umanistici per attutire gli effetti sociali e psico-individuali determinati dal rischio sanitario unito allo stato d’eccezione e di sospensione delle libertà garantite a ognun*. Di tutto abbiamo bisogno tranne che dell’idolatria para-cattolica verso pezzi di gesso colorato.

Quando ho pensato questo mi sono sentito parzialmente soddisfatto, avevo scavato un poco, ma non abbastanza: c’è di più e ancor più profondo.

Tra le molteplici trame di cui è composto il discorso pubblico del Paese stanno emergendo delle vecchie conoscenze. Dio, l’abbiamo appena visto, invocato dalla Polizia, l’ascoltiamo nella molestia acustica delle campane suonate mane e sera, nella messa video trasmessa ogni giorno dall’ammiraglia della televisione pubblica.

L’Inno di Mameli cantato, sparato dai balconi, trasmesso in simultanea dalle radio. La Patria, il nazionalismo e i suoi correlati: confini, barriere, colonie, nemici. Qualche filosofo foucaultiano ha recentemente avvisato: questo stato d’emergenza, a dispetto della verità biologica che un virus non conosce confini, li farà riemergere, quale forma di pensiero magico, barriera insensata a nuove e future epidemie.

La Famiglia – quella eteropatriarcale – è la formazione in cui il governo dell’emergenza chiede di rinchiuderci. Nulla importa se è il luogo in cui avvengono la maggioranza delle violenze sulle donne e sulle persone LGBT+.

Dio, Patria e Famiglia: la triade religiosa, nazionalista, patriarcale, riemersa con prepotenza, sta infettando il corpo sociale e gli spazi di libertà faticosamente creati. Sta bruciando decenni di lotte di liberazione, senza che si attivi la consapevolezza né dei pericoli che stiamo correndo, né della necessità di una forte e opposta risposta.

A questo virus culturale manca una testa politica per tradursi in sovrastruttura, in regime. Manca, ma se non si svilupperanno anticorpi, non tarderà a formarsi.

Già si intravedono segnali allarmanti. Come leggere altrimenti la delirante intervista del fondatore delle teste di cuoio, che spera in una presa del potere dei militari?

Non penso che si arriverà a un golpe militare; penso che le torsioni autoritarie troveranno modo di mantenere una forma impotente di democrazia, un nuovo modo del governare che taluni hanno definito, molto accuratamente, democratura.

Il covid-19 è diventato un fatto sociale totale che ci impedisce di pensare ad altro, di valutare le conseguenze di ciò che sta emergendo attorno a noi. Dobbiamo uscire da questa gabbia cognitiva, spezzarla con la potenza del discorso sui e dai corpi desideranti.

Perché sono scomparse le immagini di persone LGBT+ che si baciano, si accarezzano, si desiderano, s’intrecciano? Non possiamo introiettare il distanziamento sociale; farlo, per noi, significa scomparire dalla società. Foss’anche solo con la nostra compagna, col nostro compagno, mostriamo i nostri corpi in azione, agenti il desiderio – in attesa di poter esprimere ogni piacere anche in compagnia di sconosciute e sconosciuti.

Le parole che ho scritto non possono affiancarsi all’immagine che ha indotto questi pensieri; possono accompagnare una foto mia e di D.

Noi non abbiamo paura dell’altro – questa è la nostra rivoluzione, oggi più vera e necessaria che mai.

Mostriamolo.