OMOFOBIA, BIFOBIA, TRANSFOBIA… E CLASSISMO?

Qualche mese fa è girato sui social un interessante articolo che paragonava la glottofobia al classismo, collegando tutti quei comportamenti di scherno e fastidio verso persone aventi scarsa conoscenza della grammatica con la dinamica dell’oppressione sociale nei confronti di chi deve certe carenze alla propria posizione di svantaggio economico.

Il giornalista descriveva attentamente gli strumenti e i privilegi che contribuiscono alla costruzione di una buona capacità dialettica e sintattica, risalendo alle opportunità culturali e scolastiche e, infine, alla classica ripartizione tra classe benestante e classe povera.

Basandoci su questa riflessione, e dando quindi per assodato che una determinata difficoltà conoscitiva possa essere di fatto causata dalla mancanza di risorse specifiche e dunque alla privazione di alcuni privilegi, ne potrebbe scaturire un nuovo modo di guardare alla responsabilità personale e sociale.

Se nello stigmatizzare chi non ha avuto la fortuna di imparare adeguatamente la propria lingua madre arriviamo a osservare una discriminazione addirittura classista, possiamo individuare un meccanismo simile con coloro che, per esempio, criticano aspramente e senza sconti di pena persone che le stesse difficoltà conoscitive e culturali le individuano invece nel comprendere la variabilità dell’identità sessuale umana? Possiamo definire il denigrare gli omofobi tout court “classista”?

È un dato assodato che omofobia, bifobia e transfobia derivino dal sistema eterosessista e binario all’interno del quale tutti quanti nasciamo e cresciamo e che ci insegna a dare per assodato che tutti siano eterosessuali e cisgender; gli individui che definiamo omofobi, bifobici e transofobi spesso non conoscono la realtà gay e lesbica e ne hanno un’idea astratta.

Uno studio importante di neuroimaging del 2004 (del Department of Psychology, Emory University, Atlanta) ha mostrato infatti che, chiamati a ragionare su giudizi ostili riguardanti il proprio candidato alle elezioni politiche, pur intenti ad argomentare, i soggetti presentavano forti attivazioni di aree cerebrali deputate all’elaborazione delle emozioni. Questi vincoli emotivi, secondo la ricerca, sarebbero attivi in tutti i soggetti, anche in coloro che però a livello razionale esprimevano posizioni favorevoli su candidati omosessuali, bisessuali o trans*.

Se, come sappiamo, i pregiudizi altro non sono che delle reazioni viscerali e istintive che a fatica sopprimiamo con l’utilizzo della logica e dell’argomentazione, tanto che le credenze negative nei confronti dell’omosessualità risultano diffuse anche all’interno della stessa comunità LGBT+, perché l’atteggiamento nei confronti delle persone omofobe è sempre più orientato all’ostracismo piuttosto che all’inclusione e al dialogo?

Certo, davanti ad atti violenti e spaventosi come la strage del Pulse di Orlando non si può rimanere calmi e predisporsi immediatamente a un dialogo. Allo stesso tempo, però, è proprio davanti a fatti come questo che dovremmo spingerci a un’ulteriore riflessione sulla natura di un pregiudizio, quello contro gli omosessuali, così viscerale, capillare e pericoloso.

Come possiamo interpretare la necessità che hanno alcuni individui di aggrapparsi strenuamente a dei modelli, tanto da provare odio, ostilità e rabbia verso persone sconosciute?

Se guardiamo a tale problematica dalla prospettiva utilizzata dall’articolo sulla glottofobia, e scegliamo di vedere le persone omofobe come una categoria svantaggiata che non ha avuto determinati strumenti, allora probabilmente le nostre reazioni a frasi o azioni discriminatorie potrebbero essere altre.

Per contrastare l’omo-bi-transfobia, come spiega spesso la psicoterapeuta Margherita Graglia, è fondamentale agire sulla visibilità sociale, sul riconoscimento istituzionale e sulla conoscenza reciproca attraverso un intervento d’ampia portata -di natura anzitutto culturale- che promuova e riconosca la policromia dell’essere umano e la piena consapevolezza che “ognuno di noi è costruttore di mondi”’.

Davanti all’hotel di provincia gestito da una coppia di cinquantenni che specifica di non voler accogliere coppie omosessuali la strada spesso scelta è il boicottaggio, il muro, una reazione dal sapore di punizione. Cosa succederebbe se invece si chiedesse un incontro con i gestori e si cercasse un dialogo?

Coloro che non hanno avuto il privilegio di vivere in una cultura accogliente e varia, la “classe svantaggiata” che non è cresciuta con Will&Grace in tv o ancora meglio con tutto il catalogo Netflix, è davvero la nostra nemica?

Nati in una società eteronormativa e binaria, non potremmo che esserne il fiero prodotto omo-bi-transfobico. Tutti quanti, chi più chi meno. Ma nella nostra battaglia quotidiana contro un sistema non possiamo aizzarci verso chi ne è, seppur in diversa misura, comunque vittima: la guerra all’omofobia non può essere costruita con la lotta contro gli omofobi.

pubblicato sul numero 36 della Falla – giugno 2018