La chiamata del Comitato Pride a manifestare davanti alla Prefettura di Bologna contro i respingimenti di migranti mi ha reso orgoglioso. La parte attiva, e giovane, delle comunità LGBT+ ha gli occhi aperti, è consapevole dell’ampiezza e della contradditorietà del perimetro nel quale si gioca la partita dell’uguaglianza e del diritto di ogni essere umano alla propria singolarità.
La nostra battaglia ha avuto successo e l’accesso a multiformi sessualità non è più regolato dal privilegio: ora le persone LGBT+ riflettono le società nelle quali viviamo: c’è di tutto. Essere gay o lesbiche o transgender non implica far parte di una classe sociale: ci sono le ricche e le povere, le imprenditrici e le disoccupate senza una lira.
Essere froci non basta a definire una politica. Si prende posizione sperimentando, elaborando, studiando; per passione, empatia, spinta alla ribellione. Lo si fa perché meritoriamente il Cassero accoglie e supporta i migranti, i detenuti e i senza fissa dimora omosessuali e transessuali, così come fanno altre comunità. Quella del Comitato Pride è stata una scelta politica che a qualcuno avrà fatto storcere il naso perché, si dice, bisogna pensare ai fatti nostri, mica mescolarci. Ma è nel confronto, nell’incontro, nel conflitto, costruendo e destrutturando continuamente che si apprende a essere a proprio agio e protagoniste della propria vita.
Anni fa in tanti si premurarono di avvertirci che col Cassero avremmo creato un ghetto. Non è stato così.
pubblicato sul numero 37 della Falla – luglio/agosto/settembre 2018
foto : Dire.it
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