Piccolo ritratto di Yukio Mishima tra letteratura e politica
di Francesco Colombrita
“Una vita a cui basti trovarsi faccia a faccia con la morte per esserne sfregiata e spezzata, forse non è altro che un fragile vetro.”
La consapevolezza di una forte passione omoerotica nasce in lui in seguito alla visione, nello studio paterno, di un’immagine di San Sebastiano, dinanzi alla quale “Le mani, affatto inconsciamente, cominciarono un movimento che non avevano imparato mai. Sentii un che di segreto, un che di radioso, lanciarsi ratto all’assalto dal didentro. Eruppe all’improvviso, portando con sè un’ebbrezza accecante”.
A partire dagli anni ‘50, la situazione politica e sociale giapponese inizia un rapidissimo declino: la perdita dei valori tradizionali, la rinuncia alla sovranità nazionale, sono solo alcune delle micce che infiammeranno lo scrittore, portandolo alla politica. Innegabilmente reazionario e nazionalista, Yukio Mishima è stato tuttavia erroneamente associato al fascismo e al nazismo, con i quali non condivideva altro che questi due principi. In opposizione a quella che lo scienziato politico Robert Ward ha definito “L’occupazione […] più esaustivamente pianificata di cambiamento politico massiccio diretto dall’esterno nella storia del mondo”, operata mediante l’imposizione di una costituzione che snaturava alcuni dei principi fondanti della società giapponese, Mishima fonda la Tate no kai, scuola di samurai mediante la quale far rinascere lo spirito spezzato dall’Occidente.
pubblicato sul numero 37 della Falla – luglio/agosto/settembre 2018
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