In occasione di Gender Bender 2016 è stato proiettato presso il Cinema Lumière il nuovo film documentario Holding the Man di Neil Armfield. Tratto dall’autobiografia dello scrittore Timothy Conigrave, il film racconta la storia d’amore tra Tim (Ryan Corr) e John (Craig Stott) in un periodo caratterizzato da importanti lotte intraprese dal movimento LGBT per il riconoscimento dei diritti.
Lipari, Italia, il sole e un uomo che corre verso un telefono a rotella; sembra essere agitato mentre chiede all’interlocutore di ricordargli qualcosa che gli sfugge, una banalità, la disposizione dei posti a tavola in una cena di molti anni prima: “Ricordo tutto anche il tuo vestito, ma non dove fosse seduto lui. Sto cercando di scriverlo”. Cade la linea e anche una lacrima, anzi molte.
Un’apertura evocativa e drammatica, che chiaramente introduce lo spettatore in un punto non definito di una storia che si è già compiuta. Le vicende sono quelle dell’australiano Timothy Conigrave, attore, scrittore e attivista, e sono tratte dal libro autobiografico (Holding the man appunto, uscito postumo, nel 1995) che racconta il grande amore della sua vita. Un giorno a scuola Tim adagiò lo sguardo su di un giovane che non aveva mai visto, sorridente alle chiacchiere degli amici, con le mani in tasca, e le più belle ciglia che gli fosse mai capitato di vedere: fu amore a prima vista quello per John Caleo. Un amore che crebbe con loro e maturò in un ambiente ostile, quello dell’Australia degli anni ’70 dove l’omosessualità era considerata un reato contro la morale, a dispetto delle famiglie contrarie.
Più linee temporali si snodano a esporci le vicende di questi giovani amanti che cadranno nella tela senza pietà di quell’invisibile male che si diffuse impalpabile nelle comunità gay (e non solo) di tutto il mondo: l’AIDS. La diagnosi, la condanna. “Saremo fortunati, a noi non accadrà – afferma un sorridente John – siamo la seconda ondata, troveranno una cura”, un ottimismo che purtroppo non avrà conferme. Un ruolo di assoluto rilievo è dato all’impatto della malattia nelle vite dei protagonisti e delle loro famiglie, una più aperta e l’altra più chiusa. È in particolare il padre di John a incarnare tutte le attese caratteristiche della resistenza nei confronti dell’omosessualità del figlio e dell’elaborazione del suo disturbo: “Stai dicendo a tutti che ho il cancro. È AIDS papà. Non mi vergogno di quello che ho!”. Atteggiamento che non può non ricordare uno dei dialoghi più interessanti circa il tabù dell’omosessualità, in una società molto simile, tra il potente avvocato Roy Marcus Cohn di Angels in America e il suo medico che gli ha appena diagnosticato il male oscuro: “L’AIDS è una malattia che colpisce solo gli omosessuali, io ho il cancro al fegato”.
Mantenendo un tenore narrativo che non scivola mai troppo nel sentimentalismo, osserviamo John attraversare le fasi più tetre della malattia fino alla drammatica scena in cui si spegne, con al suo fianco il compagno di una vita. Piano piano le linee temporali si ricongiungono e la visione d’insieme offre quello che risulta essere uno spaccato molto interessante di vita gay in Australia tra gli anni ’70 e ’80, le piccole lotte, i diritti e gli amori. Si torna infine a Tim, in Italia, che scrive le memorie della passione troppo breve ma intensa che ha caratterizzato la relazione tra lui e John; ossessione che non lo lascerà mai, fino al giorno in cui chiuderà gli occhi con una promessa sussurrata tra labbra: “ci rivedremo in cielo, angelo”.
Per saperne di più
Il programma di cinema di Gender Bender 2016
Il programma completo di Gender Bender 2016
Il sito ufficiale di Gender Bender
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