“Dovere dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, luogo naturale del sapere e dei saperi, è interpretare e orientare le trasformazioni del proprio tempo, garantendo l’elaborazione, l’innovazione, il trasferimento e la valorizzazione delle conoscenze a vantaggio dei singoli e della società” (dallo statuto dell’Università di Bologna).
1° ottobre, Saperi Pubblici: l’università prende posizione. Lo fa in maniera fisica, in Piazza Verdi, punto nevralgico della città. Lo fa chiamando a gran voce ogni sua componente, (professori, studenti, associazioni studentesche), ospiti, ogni cittadino curioso. Obiettivo comune: provare a ragionare, armonizzando tra loro le voci più distanti: dall’arcivescovo Zuppi a Stefano Benni, dall’ex rettore Ivano Dionigi alle componenti studentesche, provare a “farsi partitura, in ascolto profondo dell’altro”, come dice Ezio Bosso durante il suo intervento.
L’operazione non è facile perché composita, ma estremamente necessaria: nonostante la pioggia, ogni centimetro della piazza è occupato. “Voglio partecipare anche io” si sente tra la folla, e “finalmente. Finalmente non veniamo lasciati soli, noi, che non parliamo la retorica dell’odio, finalmente possiamo trovare un discorso che ci rappresenti, finalmente non veniamo abbandonati alla diffidenza e al disinteresse”.
Perché la sfida primaria di Saperi Pubblici è quella di vincere la diffidenza.
La diffidenza che nutriamo nei confronti della conoscenza, vista come appannaggio delle élite intellettuali arroccate alle accademie. “Il dovere dei professori” ricorda il latinista Dionigi “è quello di professare il vero delle proprie discipline, vale a dire la complessità delle cose del mondo”. Lo stesso arcivescovo Zuppi dichiara: “rispondere ai ritornelli del consumismo culturale con scelte forti, con la cultura vera. Ci aiuterà a costruire un futuro libero dalla tentazione della chiusura, dove l’altro non è un pericolo ma una grande opportunità per essere migliori e costruire un mondo migliore”.
La diffidenza che alimentiamo con il disinteresse o con il senso di inadeguatezza: “Ad oggi in Italia governano dei giovani” afferma Massimo Cacciari, durante il dibattito con tre dottorandi “la mia generazione e anche quella successiva alla mia non esistono più nella scena politica. C’è stato Renzi, ora ci sono Di Maio e Salvini: facce della stessa medaglia, retoriche uguali. Cerchiamo di ragionare perché siamo a una svolta decisiva per il nostro Paese e per l’Europa: se istanze nazionalistiche e sociali si compongono, in un’Italia che in questo senso è uno straordinario laboratorio, per una prospettiva, tanto per intenderci, di sinistra, la partita è chiusa.” Moni Ovadia rincara: “È arrivato il momento di alzare le chiappe (…); io sono militante e attivista dall’età di 15 anni”.
La diffidenza che costruisce i pregiudizi verso l’altro, il diverso, verso i dannati dei Cantieri Meticci, che performano la prima sera sul palco. Verso il popolo Rom, narrato dall’etnomusicologo Nico Staiti, promotore della petizione dello scorso giugno contro la schedatura proposta da Salvini. “Sono impeccabili” osserva Moni Ovadia sul suo gruppo Rom&Gage’ (Paolo Rocca, Albert Minhai, Petrica Namol), mentre ci spiega le origini ebraiche della melodia di Bella Ciao.
Saperi Pubblici termina il 2 ottobre, lasciando aperta la sfida nel freddo autunnale. C’è ancora molto lavoro da fare perché, se come sostiene Moni Ovadia “ho imparato che pensare è necessario, ribellarsi è giusto”, dobbiamo prima apprendere gli strumenti per imparare a pensare e continuare, come studenti, come Università e come città a costruire una visione critica delle cose. Portare avanti la discussione con uno sguardo problematico perché vario e articolato, ma non diffidente. E mentre Bologna attende quiescente di ripartire, l’appello lanciato dal Liceo Tasso di Roma “allo Stato, ai cittadini e a noi studenti stessi” e l’invito alla collaborazione tra alunni e professori nella costruzione di un discorso di contestazione fa sperare in nuovi teatri di dialogo.
immagine realizzata da Federica Perazzoli
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