DI UN PERCHé IN ITALIA NON ABBIAMO UN DIRITTO AL MATRIMONIO

di Antonia Cassoli

Tra le tante ragioni per cui in Italia non viene ancora riconosciuto il matrimonio per le coppie dello stesso sesso, ce n’è una che non viene mai presa in considerazione.

Quando il Cristianesimo riconobbe le unioni contratte secondo il diritto romano, le trasformò in un sacramento indissolubile – cancellando l’idea che si potesse basare sul consenso – sancendo la scissione del matrimonio dall’amore e riducendolo di fatto a un legame di interesse, il cui fine ultimo è la procreazione di figli che permettano di mantenere i possedimenti all’interno di una famiglia.

È solamente alla fine del ‘700, con le rivoluzioni Americana e Francese e la nascita dell’idea di individuo, che il matrimonio ritorna pian piano a essere la libera scelta di individui che si sposano per amore. Permarrà purtroppo a lungo la concezione di sottomissione della donna la quale, proprio tramite i contratti matrimoniali, detiene una condizione priva di volontà.

Se nel corso dell’ ‘800 e del ‘900 vengono gradualmente eliminate le clausole che legittimizzano la patria potestà dell’uomo sulla donna, il comune pensiero fatica a sradicarsi, cucendole addosso di fatto la sua condizione di inferiorità. Oggi nel nostro Paese, laddove sulla carta donne e uomini sono individui di pari valore, sono ancora visibili i segni di questa condizione, soprattutto nelle tradizioni legate al matrimonio: pensiamo per esempio, per dirne una a caso, al padre che accompagna la sposa all’altare, dove l’aspetta il marito che la prenderà in sposa, secondo un vero e proprio passaggio di proprietà.

Cosa ne sarebbe dunque di queste nobili tradizioni purtroppo ancor vive? Cosa ne sarebbe degli equilibri ben conosciuti su cui si fonda il matrimonio tra un uomo e una donna, se cominciassero a sposarsi gli uomini con gli uomini, le donne con le donne?

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso destabilizza quelle che sono le regole implicite che governano un rapporto tra due persone; con le dovute eccezioni, la maggioranza delle persone hanno ancora l’istinto di pensare all’uomo come figura protettiva: l’uomo dovrebbe essere più vecchio, dovrebbe essere più alto (!), dovrebbe guadagnare di più. Quand’anche non lo ammettano razionalmente, si sentono rassicurate nel momento in cui queste sciocche consuetudini vengono rispettate; quante volte noi coppie omosessuali ci sentiamo ancora domandare “Chi di voi fa l’uomo e chi fa la donna?”

In un paese come l’Italia, dove il delitto d’onore è stato depennato nel 1981, dove apriamo dibattiti chiedendoci se sia utile o meno avere donne al potere, dove a parità di livello un uomo guadagna di più della sua collega donna, dove le sportive possono vincere campionati mondiali ma per la legge rimangono dilettanti senza alcuna forma contrattuale, dove, insomma, siamo ancora abituati a ragionare in termine di potere e sudditanza, come pretendiamo che venga accettata l’unione di due persone alla pari?

Io sono ben contenta che le persone transessuali possano accedere civilmente al matrimonio, ma ahimè, mi duole dirlo, più che una conquista la vedo come la conferma di quanto esposto finora: l’amore è il medesimo, ma la discordanza dei loro generi ristabilisce gli equilibri di potere che ci si aspetta.

È un dato di fatto che il Cristianesimo, e ancora di più il Cattolicesimo, con la sua gerarchia androcentrica, abbiano influito nel legittimare e radicare la concezione dell’inferiorità femminile. Anche per questo motivo non ci dovremmo mai stancare di esigere uno Stato laico che sia effettivamente tale; uno Stato che sia in grado di rispettare (e far rispettare) la reale parità di valore tra uomini e donne.

pubblicato sul numero 8 de La Falla – ottobre 2015, questo articolo costituisce la prima parte della riflessione di Antonia Cassoli sul matrimonio, che termina nel numero 9 – novembre 2015: 

ANIMAL KINGDOM. DEL PERCHÉ DOBBIAMO TUTT* COMBATTERE PER IL MATRIMONIO