Lunedì prossimo, 15 giugno, è  in uscita, per Asterisco, una nuova edizione  del testo Il nostro mondo comune, edito nel 1983 da Felina, prima casa editrice lesbica italiana. È il pamphlet elaborato da un gruppo di lesbiche del Cli (Collegamento Lesbiche Italiane) in risposta alla cancellazione del lesbismo all’interno del documento Più donne che uomini, a cura del Gruppo N. 4 della Libreria delle donne di Milano (Via Dogana). Contro il silenzio che avvolgeva l’esistenza lesbica, le autrici presero parola per mostrare i dispositivi di invisibilizzazione del lesbismo esterni e interni al femminismo e per immaginare un mondo comune delle donne fondato sulla lotta alla norma eterosessuale e sulla praticabilità esplicita del desiderio anche sessuale tra donne. 

È a mio avviso necessario inquadrare l’operazione editoriale di Asterisco nella recente elaborazione storica sugli anni Ottanta. In quel decennio il conflitto sociale si sposta su momenti socio-simbolici, fuori dallo spazio politico tradizionale, e questo avviene anche in ambito femminista. Scrive Beppe de Sario su Zapruder ( 21, 2010) : 

«I movimenti sociali contemporanei nel complesso rinunciano – se non retoricamente, nella pratica concreta – all’antagonismo che sfida direttamente il potere e tuttavia non si chiudono nella semplice richiesta di “riconoscimento” o di inclusione in pratiche di governance. Essi finiscono invece per rivolgersi a esperimenti assai pratici di controegemonia, che coniugano sottrazione, competizione con il sistema, sviluppo di significati culturali e di ambienti sociali separati assieme ad azioni di disturbo e di contestazione».

Non fa eccezione quanto sgorga da Il nostro mondo comune, insieme di testi generatisi nell’ambito della frattura tra lesbofemminismo e pensiero della differenza. Si producono due configurazioni femministe separatiste: da una parte l’utopia del mondo comune di donne e lesbiche (il continuum lesbico, secondo la definizione di Adrienne Rich) elaborata dal Cli, dall’altra l’analisi dello scacco femminile nel mondo sociale e un’ipotesi di relazioni comunitarie asimmetriche e salvifiche tra donne, prodotta da via Dogana. En passant, le due posizioni furono più simili fra loro di quanto lo siano ora quelle di Snoq e Nudm o di ArciLesbica e Lesbicx, perché le due declinazioni di separatismo, oltre che sul fatto storicizzabile di rivolgersi solo alle donne nate con sesso femminile, convergevano sul desiderio di autofondazione e autonomia comunitaria, pur con differenze notevoli di relazione e parola di e fra corpi e soggetti.

Il fascicolo speciale di Sottosopra che si trova in appendice del libro pubblicato da Asterisco, e dove campeggia l’elaborato  Più donne che uomini, cosa porta al femminismo italiano, al di là di una Adrienne Rich incompleta e mal tradotta? Un’analisi sulla fragilità. Nel mondo dovremmo vivere da signore (sic) e invece lo pratichiamo con l’insicurezza degli apprendisti e degli imitatori, afferma il gruppo N. 4 della Libreria delle Donne di Milano. Viviamo un’inadeguatezza non solo materiale, la nostra voglia di vincere (sic) non è contemplata dalla società e questa estraneità deriva dal nostro corpo di donna. Se vincere significa spesso “virilizzarsi”, se non vincere crea disagio e blocco, un esito positivo, per contro, sarebbe: «costituire il gruppo separato di donne anche quando e dove siamo alla ricerca di esistenza sociale, per interrompere l’esperienza dello scacco, riconoscere la voglia di vincere e dare avvio alla lotta per stare al mondo con agio». Si tratta di un desiderio che si trattiene nelle sue reti di donne per trovare spazio e rafforzarsi. Reti animate da disparità e differenza tra donne nell’ottica del valore, che creano di fatto differenza sociale femminista con la pratica dell’affidamento a una figura autorevole, che sostituisca il padre con la madre. Differenze tra donne, affidamento, agio dell’abbandonarsi all’autorevolezza femminile, a chi prende parola: è l’ipotesi di creazione di una sovranità femminista come nuova realtà socioantropologica, in un mondo nuovo e separato. La riscrittura della partitura di sapere e potere è vertiginosa. Leggendo questa tentazione, estrema, di communitas differenzialista non ho potuto esimermi dall’immaginare culti fra Signore. Separazione come regressione, ripiegamento, fuga da una realtà effettiva di disgregamento del femminismo delle lotte anni Settanta? Certo un femminismo culturale utopico e dalla declinazione socialmente problematica fu statuito e vissuto, come si legge anche in Non credere di avere dei diritti (1987), altro frutto del lavoro differenzialista. Una sfida faustiana, o di Fausta, declinando al femminile, che fu per molti anni anche egemone, almeno in Italia. 

Il lesbofemminismo che elaborò Il nostro mondo comune, per contro, tracciò le linee di una dinamica concreta di corpi e relazioni di donne tra loro. Un femminismo lesbico ancora lontano da un confronto con il pensiero queer, che rivoluzionerà campi e definizioni, ma già ampiamente avverso ai dogmi dell’eterosessualità obbligatoria. Eterosessualità che l’elaborazione differenzialista non aveva minimamente provato ad intaccare, focalizzandosi sul silenzio anche sul proprio lesbismo. I desiderata del gruppo del Cli, per contro, come mostra La Lista, una sorta di programma politico ancora attuale, vanno persino già nella direzione ardita del sex working autogestito. 

Per il resto, il crogiolo lesbofemminista che ebbi la fortuna di incrociare da giovane non era riformista o con rimasugli eterosessuali. Era raccogliere forze tra donne con possanza e idea di futuro. La poesia di Liana Borghi che apre il testo pubblicato da Asterisco, una favolosa, lucida e nel contempo affabulatrice Rosanna Fiocchetto, la nascita della casa editrice Estro, la Bollettina del Cli che ci faceva avere notizie, spunti, teoria e immagini dall’Italia e dalla lesbian nation mondiale. Non ci fu affidamento nel mondo lesbico, ci furono relazioni reticolari, mentre il lesbismo fu occultato dalle femministe dell’affidamento. Penso che ora in molte si siano rese conto di quanto regressiva e mortificante fosse per tutte quest’ultima prospettiva. L’agio lesbico fu per me baluginante in certe serate romane, ascoltando musica e ricevendo un biglietto con l’invito per le vacanze a Casa Balena, luogo lesbico umbro. Poi la frase «Mi sembra di essere una bambina» che seguì l’invito della donna più adulta, in uno strano rovesciamento di posizione che allora, ventenne, non capii in tutta la sua portata liberatoria. Ora posso recepirlo perfettamente. 

Crescemmo impreviste, fuori dall’affidamento, leggendo i primi testi di Lidia Cirillo che credeva in movimenti sociali globali in grado di cambiare i rapporti di sesso, razza e classe. E fu solo quando credemmo di avere dei diritti e uscimmo nel mondo che emergemmo come generazione nuova del lesbismo. I Novanta cambiarono ancora il quadro. Fummo la prima generazione che si disse lesbica anche senza il suffisso femminista, ma avemmo bisogno di prefissi (azione, arci). E questo ci complicò la vita. 

Speriamo di poter recuperare presto il senso del confronto tra visioni del mondo e un dialogo profondo e non escludente: questo libro ci porta a capire che è possibile. 

Immagine in evidenza realizzata da  Ren Cerantonio