UMM KULTHUM, MOTHER OF THE ARABS

Quattro milioni di persone, un corteo lungo dieci chilometri: il funerale di Umm Kulthum, «la voce dell’Egitto», morta il 3 febbraio del 1975 a 71 anni, fermò una nazione, ma non solo. Fu tutto il mondo arabo, dal Marocco alla penisola arabica, a piangere la scomparsa della «cantante con il virtuosismo di Joan Sutherland o Ella Fitzgerald, il personaggio pubblico di Eleanor Roosevelt e il pubblico di Elvis», come la descrive Virginia Danielson, l’etno-musicologa sua biografa.

Perfino Maria Callas la definì «la voce incomparabile».

«The Star of the East», «Mother of the Arabs», «Egypt’s fourth pyramid», le metafore si sono sprecate per la stella della musica araba che ha saputo diventare un fenomeno sociale di cui non abbiamo corrispettivi nella cultura artistica occidentale. 

Originaria di un villaggio sul delta del Nilo in cui nacque nel 1904, Umm manifestò un talento eccezionale fin da piccolissima. Figlia dell’imam del paese, che la faceva esibire su sue composizioni e poesie religiose, a una donna, ancorché bambina, era però proibito cantare liberamente. 

Vestita come un ragazzo, con abiti che lasciavano scoperti solo gli occhi e la bocca, l’unicità della sua voce da contralto le permise, ventenne, di dismettere i panni da beduino e trasferirsi al Cairo, invitata dai più importanti musicisti dell’epoca.

Si affermò in un’ascesa vertiginosa, diventando l’interprete più pagata della scena artistica egiziana. Contesa da autori e poeti – tra cui l’amico Ahmed Rami, la cui storia dell’amore non corrisposto per lei è raccontata nel libro Ti ho amata per la tua voce, dello scrittore Sélim Nassib – le sue performance duravano fino a 5 ore, con brani di oltre un’ora e mezza, tanto da provocare uno stato di incanto vicino all’ipnosi, una sorta di estasi dei sensi.

Grazie alla sapiente scelta di brani popolari e poesie della raffinata tradizione letteraria araba, la partecipazione a film musicali e concerti a cadenza mensile, trasmessi dalla radio per quasi 40 anni, costruì un’immagine, di cui era autrice, che giocava al contempo sull’ascesa della figlia del popolo contadino sofferente e sulla donna colta e carismatica che arringava ed educava le masse.

Sposarsi due volte, competere con Nasser (guidò la ribellione contro il re Fārūq I e divenne, in seguito, il secondo presidente della repubblica egiziana, ndr) per popolarità e retorica nazionalista nel cuore degli egiziani – la relazione tra i due era di reciproca ammirazione e sostegno, la cantante aveva donato alla campagna di Nasser milioni di dollari – avere rapporti affettivi e sessuali con donne, anche se segreti, per tutta la sua vita, come racconta Nassib e ammetteva in parte la stessa Kulthum, dichiarandosi disinteressata agli uomini: Umm poteva tutto, era autentica come solo il mito sa essere.

L’adorazione di cui godeva era pressoché indiscussa e nutriva un parossismo individualista che ha sovvertito i ruoli di genere tradizionali dell’epoca, seppur per lei sola. Ma è davvero così? 

Danielson scrive ancora: «Ha cercato assiduamente e coerentemente di costruire una voce che milioni avrebbero rivendicato come propria». 

Forse, a 45 anni dalla sua morte, possiamo rivendicare davvero tutte le infinite sfumature di quella stessa voce.

Pubblicato sul numero 55 della Falla, maggio 2020