CRONACA DI UN’OCCASIONE MANCATA

Chi desidera vedere una commedia di Natale che ha finalmente due lesbiche protagoniste corra subito a procurarsi Happiest season, unica tra le queer rom com natalizie statunitensi di quest’anno a essere uscita anche in Italia, su Sky e Now Tv, col tragico titolo Non ti presento i miei. Prodotta da TriStar e pensata per il grande schermo, causa pandemia è uscita direttamente su Hulu, piattaforma di streaming non presente in Italia.

Cast e crew sono ad alto tasso di omo-bisessualità, elemento che in un mondo utopico non dovrebbe importare a nessun*, ma che ancora conta molto. Nella conversazione interna alla comunità LGBT+ la queerness di attori e attrici è tema molto dibattuto, e ha assunto a volte la pretesa di diventare dogma, con la motivazione della diversity: solo persone LGBT+ per parti LGBT+, si sente vociare da più parti. La regista e co-sceneggiatrice Clea DuVall è lesbica, nonché interprete, in gioventù, dell’ormai classico But I am a cheerleader, che in forma di commedia esplorava le assurdità delle teorie riparative, così come la protagonista Kirsten Stewart (Abby), icona lesbo-pop tra le più note al mondo; gay è Dan Levy, che quest’anno ha vinto 9 Emmy con la sua creatura Schitt’s Creek  (un gay paradise nel senso più positivo del termine) e in Happiest season interpreta John, il migliore amico di Abby; gay è Victor Garber, nel film il padre di Harper; e bisessuale è Aubrey Plaza, sulla pellicola Riley, la prima fidanzatina del liceo di Harper, abbandonata e maltrattata in un impeto di eteronormatività adolescenziale che purtroppo resta parte di Harper anche in età adulta, almeno fino al finale. 

La trama è presto detta: Abby e Harper, due trentenni molto innamorate che stanno insieme da un annetto, passano il Natale a Pittsburgh con la famiglia di Harper. Abby odia il Natale da quando i suoi genitori sono morti, ma vede questa come un’opportunità per incontrare la famiglia di Harper e per farle la proposta di matrimonio proprio la mattina di Natale. Solo durante il viaggio Abby apprende che Harper le ha mentito e non ha ancora mai fatto coming out, e accetta suo malgrado di recitare la parte della coinquilina etero. Da qui si dipaneranno una serie di equivoci che ci condurranno all’inevitabile lieto fine tra un topos e l’altro, mischiando quelli natalizi a quelli sui coming out.

I meriti principali del film sono due: essere riuscite a farsi produrre da una major come Sony – TriStar è infatti di sua proprietà -, con trama, cast e crew ad alto tasso di omosessualità, e aver inserito l’omosessualità stessa in uno schema molto stringente come quello della commedia natalizia, che di per sé è normativo, rigido e poco interessante. 

La debolezza principale di Happiest season nasce proprio dal mancato sovvertimento, cioè dal fallimento di una delle sue mission dichiarate. La relazione lesbica è presente e centrale, ma non riesce a sovvertire lo schema della rom com natalizia in alcun modo, se non appunto con l’elemento dell’omosessualità che nel 2020 non risulta, di per sé, per niente rivoluzionario.

Scegliere di concentrarsi sul coming out mancato di questa figlia modello è un mezzo narrativo molto passé, quasi una macchina del tempo che ci trasporta negli anni ‘90 degli esordi di DuVall, soprattutto se trattato in modo così piatto, senza problematizzarlo davvero per quello che significa socialmente e dentro la coppia, al di là della molto individualista libertà di Harper di vivere come vuole, che il pater familias le accorda nel zuccheroso finale.

Abby sembra vittima della sindrome di Stoccolma perché, durante la recita di eterosessualità a cui acconsente, si fa trattare dall’amato bene Harper – a sua volta in piena regressione – in modi veramente tristi, per non dire cringe, per non dire crudeli.

L’unico personaggio che presenta elementi ideologici attuali nel 2020 è John, uno sfavillante Dan Levy, il migliore amico e famiglia di elezione di Abby, corifeo della contemporaneità e l’unico che suggerisce all’amica che il matrimonio è un’istituzione obsoleta e patriarcale, anche se la nostra protagonista non viene minimamente toccata dalle opinioni dell’amico e continua a considerare le nozze il coronamento del suo sogno d’amore, per dirla con Lea Melandri.

Kirsten Stewart forse non vincerà l’Oscar, ma per lo meno dimostra, finalmente, di avere una gamma di espressioni facciali che vada oltre la resting bitch face, e la sua chimica con il resto del cast è buona, mentre il premio Oscar Mary Steenburgen, nel ruolo della matriarca, è come sempre strepitosa.

Happiest season non cambierà la storia del cinema, nemmeno di quello LGBT+, anzi, fa restare in bocca alle cinefile il sapore dell’occasione mancata, ma rimane un buon passatempo per un’ora spensierata durante queste feste pandemiche che tanto provano la psiche di ognun* di noi. D’altronde, anche noi frocie abbiamo diritto di vedere filmetti commerciali senza pretese e non sempre e solo il cinema sperimentale di Monika Treut o Barbara Hammer.

Immagine in evidenza da vulture.com, immagine del testo da wikipedia.org