Intervista a Margherita Ferri

Abbiamo incontrato Margherita Ferri, regista di Zen sul ghiaccio sottile, uscito in anteprima il 28 ottobre per Gender Bender e ora in sala.

Questo è il tuo primo lungometraggio, il cui soggetto vinse nel 2013 il Premio Solinas.
Cosa racconta questa storia, e perché ti premeva farla diventare un film?

È un racconto di formazione sulla ricerca della propria identità, anche di genere nel caso di Zen, e di come i sentimenti nell’adolescenza possano essere assoluti, totali.

Sia Zen sia Vanessa non conoscono il proprio posto nel mondo e vivono un ruolo assegnato dalla comunità, dalle famiglie, dagli amici. Troveranno un momento di condivisione e verità in cui scoprirsi uguali attraverso domande diverse: Vanessa si interroga sul suo orientamento sessuale, mentre Maia/Zen sulla propria identità di genere.

Mi premeva raccontare una ricerca, le risposte alle domande alla fine non arrivano neppure, ma il pubblico può riconoscersi comunque. Tutti ci chiediamo quale sia il nostro posto nel mondo, non solo da adolescenti.

Grazie al programma di Biennale College, ho avuto l’opportunità di sviluppare il soggetto del 2013: raccontava una storia d’amore diversa, ma il sentimento profondo, l’esplorazione dell’umanità di Vanessa e Zen durante la “fuga dal mondo” nel rifugio, è rimasto intatto. La trama si è semplificata, perciò ho potuto scavare in profondità nelle motivazioni dei personaggi, nel dolore, nei loro desideri.

La sceneggiatura ha avuto un’ulteriore evoluzione lavorando con gli attori esordienti, dopo un percorso di prove intenso, assieme a una acting coach, che ha sviluppato scene e dialoghi, pur mantenendo la storia integra.

Ci racconti il lavoro fatto sul territorio con la produzione, sia rispetto ai luoghi in cui hai girato, sia per la scelta del cast, quasi tutto di non professionisti?

I miei produttori Chiara Galloni e Ivan Olgiati di Articolture –  e io avevamo la ferma intenzione di lavorare con le comunità che abitano il territorio dove il film è ambientato.

Abbiamo attivato una collaborazione con il Gruppo Scuola Cassero e Valeria Roberti, del Centro Risorse LGBT, per portare laboratori contro il bullismo omofobico nelle scuole della comunità montana, introducendo, prima di iniziare il casting, le tematiche del film ai ragazzi delle valli dell’Appennino. Per la scelta della protagonista, ho lanciato una casting call con un video, attraverso la pagina “Chi dice lesbica dice dramma”, oltre ai canali usuali.

La risposta è stata grande, hanno mandato video (il casting era aperto a ragazze cisgender e ragazzi FtM pre T) da tutta Italia.

La protagonista, Eleonora Conti, è di Bologna. Non aveva mai recitato, ma ho notato subito che aveva l’energia e la sensibilità giuste per interpretare Zen.

Il film è stato presentato all’interno di Biennale College alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia. Che accoglienza ha avuto?

Venezia è stata un sogno che si realizza, il film è stato accolto bene dal pubblico e dalla critica. Abbiamo avuto recensioni positive sulle testate principali, mentre alcuni blogger di cinema hanno scritto “una pellicola ignorante, che tratta temi di bassa lega.”

Sono contenta che il film crei dibattito, perché le tematiche dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale sono insolite per il cinema italiano. Vediamo cosa dirà il pubblico dopo l’uscita del film!

Come hai appena detto, nel panorama italiano storie del genere – e sul genere! – sono rare, così come le registe: che responsabilità senti e quanto è importante per te continuare a lavorare su questo?

Sono felice di essere riuscita a girare il mio primo film, dopo fatica e tentativi andati a vuoto, è la storia che volevo raccontare. Vorrei ci fossero più registe, per questo cerco di aiutare le ragazze che hanno questa aspirazione a trovare la loro strada. Oggi quelle che intraprendono la carriera sono di più, ma è difficile emergere rispetto ai nostri colleghi.

Il cambiamento inizia dalla percezione che le ragazze hanno del mestiere: ora pensano “posso farlo”, si iscrivono a scuole di cinema, mentre io ero sempre l’unica, sia al Centro Sperimentale sia nei corsi che ho fatto.

Credo che Zen sia la prima pellicola italiana con un* protagonista questioning, che si fa delle domande sulla propria identità di genere e che a causa della sua espressione di genere è soggetta a bullismo e reagisce… A modo suo!

Come regista, sento la responsabilità di portare le storie della mia comunità, quella LGBT+, a un grande pubblico, di mettere al centro del racconto persone che sono ai margini e dare voce a chi, molte volte, è inascoltato.

pubblicato sul numero 39 della Falla – novembre 2018