Recensione di Chiamami così di Vera Gheno

La Grande pianura ungherese occupa più della metà del territorio magiaro e la parte orientale, la Puszta, è quella più fertile. Non è un caso che leggendo quest’ultimo libro di Vera Gheno, sociolinguista, docente universitaria e ungherese per metà, possa prendere forma nel cervello l’immagine di pianura come grande spazio fertile – quindi di crescita collettiva, di cura, di progetto per il futuro – dove tuttə sono allo stesso livello e con la stessa visibilità: nessunə è più in alto e gode di una posizione privilegiata.

Non è nuova l’idea che la saggistica tenga distante le persone per via del registro linguistico specialistico che normalmente la caratterizza e che può rendere più difficile la fruizione al pubblico generalista: a demolire il pregiudizio ci pensa come sempre Vera Gheno, che con il suo Chiamami così, fornisce a chi legge una cassetta degli attrezzi nella quale si trova, tra i vari strumenti, una sorta di grimaldello che aiuta ad aprire porte indebitamente chiuse sulla diversità, sul suo valore e sul rapporto con le differenze. Nelle cinque sezioni del libro si scardinano, con la chiarezza che contraddistingue lo stile comunicativo dell’autrice, molti degli stereotipi che caratterizzano la società normocentrica, quali il concetto di normalità e quello di inclusione intesa come gentile concessione delle persone privilegiate, che si autodefiniscono normali, nei confronti di quelle che definiscono diverse.

Per chi già conosce Gheno, le considerazioni fatte fin qui potrebbero far sembrare questo libro come il punto di arrivo di un discorso ampio sul linguaggio e sull’importanza, per dirla con le parole di Acanfora, della convivenza delle differenze; in realtà potrebbe essere il contrario: ogni nuovo libro di Gheno è sempre un punto di partenza. Certo, è vero che, senza mai perdere di vista il fondamentale intento divulgativo, si vede bene che il suo linguaggio è diventato, di libro in libro, sempre più efficace e più politico, nel senso più alto del termine – e davvero il medium è il messaggio, per citare McLuhan – rendendo evidente che la lezione di De Mauro ha potuto sedimentare per poi essere messa a frutto, grazie anche a un continuo lavoro di ricerca, e infine sbocciare in tutta la sua concretezza e profondità. Questo libro diventa così anche un occhiale che rende possibile allargare lo sguardo e fare chiarezza sull’universo delle discriminazioni, messe impietosamente in fila dando loro un nome in modo analitico: sessismo, misoginia, transfobia, omofobia, bifobia, lesbofobia, razzismo, abilismo, ageismo, grassofobia, aporofobia, ecc. Lo studio di autori e autrici come Preciado, De Leo, Hooks, Gümüsay, lo stesso Acanfora – solo per nominarne alcunə – ha permesso una sintesi estremamente fruibile di concetti complessi: Chiamami così può essere definito, tra le altre cose, un agile manuale che, come ci ricorda il sottotitolo, orienta chi legge sui concetti di «normalità, diversità e tutte le parole nel mezzo».E a proposito di parole, è proprio l’idea che il linguaggio sia uno strumento impossibile da ingabbiare e talmente duttile da potersi continuamente adattare a una realtà in perenne cambiamento a far riflettere sul fatto che la necessità che oggi sentiamo come impellente – affrontare il tema del linguaggio comprensivo delle infinite differenze che caratterizzano l’umanità intera – quasi sicuramente non sarà la necessità del futuro, e questo anche grazie al lavoro di intellettualə come Gheno. L’urgenza di nominare con cura e precisione le diversità sarà il motore che darà l’impulso per il passo successivo, ossia cercare di dare voce ad altre istanze che oggi nemmeno immaginiamo, e spiegarne l’importanza con parole sempre adatte alle circostanze, di qualunque forma e colore vorranno essere.