Nell’ultima notte dell’anno sul davanzale di una finestra metto una candela accesa. Lo faccio da quando, il 23 dicembre del 1994, Antonio Frainer, attivista di spiritualità anarchica, del quale sono stato compagno e convivente per 14 anni, morì ucciso dall’HIV. Anni di complicità e di contrasti, di amori e di lotte, anche tra di noi, e di feste; intensi.

La candela: un riferimento per Antonio mentre, in forme diverse – un po’ materia e molto energia -, vaga nell’universo, tra luce e materia ed energia oscura, a volte lentamente e altre alla velocità della luce. Quella fiammella attira tutte le sue nuove e inattendibili manifestazioni di vita e le indirizza lì, così che sappia che ha una casa, che lo si pensa e lo si ricorda.

Non sono religioso, non credo in possibili vite dopo la morte e questo gesto irrazionale, con logica piegata dalla fantasia, mi è tuttavia indispensabile.

Sono riti di sacralità atea, non si affidano a norme clericali, non chiedono perdono né benedizioni assolutorie. Ci si assume la responsabilità dei propri sentimenti e delle proprie vite, si affronta la morte propria e quelle altrui cercando, con rispetto militante, di tenere il ciglio asciutto e fare sì che il dolore non si esprima nel pianto.

Si dialoga con persone care che non ci sono più, le cui memorie diventano tanto sorprendentemente vive con il passare del tempo che pare di ascoltarne la voce e che ci invitano, dolcemente, a non tradire le idee e le pratiche di libertà nelle quali si è cresciuti assieme. E così sia, spero, anche per questo 2021. Auguri.