NUOVI PERSONAGGI, VECCHIA RETORICA

«Questo è un film di Natale!» è stata la premessa necessaria per potermi approcciare senza grosse aspettative a The Christmas House, il made-for-tv christmas movie di Hallmark Channel, pay tv statunitense che trasmette e produce esclusivamente contenuti per tutta la famiglia – e usare il singolare è d’obbligo. Sgomberiamo il campo: questo film della durata di poco più di un’ora e venti minuti è una rom-com natalizia a tutti gli effetti. Una di quelle che i canali nostrani mandano in loop durante le feste, perché alla fine lo sviluppo narrativo è sempre lo stesso. Lasciate ogni speranza voi che guardate.

Diretta da Michael Grossman – regista di decine di episodi di serie tra cui Grey’s Anatomy, Streghe e Buffy – L’ammazzavampiri – la pellicola ruota attorno alle vicende della famiglia Mitchell, con Bill (Treat Williams, Everwood, C’era una volta in America) e Phylis (Sharon Lawrence, NYPD Blue), coppia unita da molti anni, che invitano i loro due figli adulti, Mike (Robert Buckley, Lipstick Jungle e One Tree Hill) e Brandon (Jonathan Bennett, Mean Girls) a stare con loro per le due settimane che precedono il Natale, per rivisitare un’antica tradizione di famiglia: trasformando la casa di famiglia nella «casa del Natale», con neve finta e tutte le microplastiche del mondo a decorare ogni nicchia di una tipica casa della east coast. A inserirsi in questo menage familiare – e diciamolo, anche familistico – si inserisce l’amica del liceo di Mike ed ex vicina di casa Andi (Ana Ayora, The Big Wedding), tornata in città con il figlio Noah (Mattia Castrillo) a seguito di un divorzio. Una famiglia come tutte le altre, se non che Mike è un attore televisivo e, rullo di tamburi, Brandon è sposato con Jake (Brad Harder), invitato a partecipare alla celebrazione del rito natalizio. Tra amori del passato che ritornano e crisi di coppia e lavorative, i tre intrecci narrativi si dipanano in un costante dialogo tra passato e presente, e anche un pizzico di futuro.

Non scriverò di aver buttato cento minuti della mia inutile esistenza per guardare una banale commediola, e che avrei potuto usare quel tempo in maniera più sensata pensando a come usare del gin in ogni singola pietanza del pranzo di Natale. Vorrei tanto, ma verrei meno all’assunto iniziale di questo pezzo e al fatto che, nonostante la qualità non altissima del film, qualche novità all’orizzonte c’è. E sta nella rappresentazione della coppia formata dai due uomini. Brandon e Jake non vivono tragicamente la loro relazione, non hanno coming out forzati e dolorosi da fare o conflitti familiari dovuti al loro orientamento sessuale da sciogliere. Anzi, i due hanno avviato le pratiche per l’adozione e sono in attesa di notizie positive da comunicare al parentame. SPOILER: alla fine ce la faranno, tra la gioia di tutti i familiari. 

Insomma, come tutti i film delle feste non fa altro che prendere un paio di elementi – perché oltre alla coppia same-sex c’è anche l’elemento etnico, sul quale non mi soffermerò -, normalizzarli e assimilarli, inserendoli in una narrazione in cui ogni problema personale viene risolto grazie al potere taumaturgico della famiglia e dei ricordi. Guardatelo se non avete problemi di diabete mellito e di digestione di polpettoni televisivi e pensate che ogni modello positivo veicolato dai media sia una manna dal cielo. Evitatelo a piè pari se non ce la fate più a vedere personaggi LGBTI+ bidimensionali e nel 2020 avete le gonadi piene della retorica familistica conservatrice etero-cis.  

È un film di Natale, dopo tutto. Dovreste ringraziare che alla fine Brandon non si riveli Babbo Natale in incognito e Jake una delle sue renne. SPOILER: non è così, purtroppo.