Gender Bender ci propone il film Potato dreams of America, la storia di Vasili (Hersh Powers/Tyler Bocock), detto Potato, un ragazzo omosessuale che cerca una via di fuga da Vladivostok, ma che si trova presto a dover fare i conti con una realtà ancor più bizzarra dei sogni. Perestroika, URSS sul finire degli anni ’80: Potato, fantasioso, gentile e ingenuamente eccitato da Jean-Claude van Damme, evade dall’alienante routine attraverso film americani piratati; con Lena (Sara Barbieri/Marya Sea Kaminksi), la sua mamma single, medico del penitenziario locale, condivide il mito degli Stati Uniti e, fuor di pellicola, quante volte noi stess* abbiamo sognato l’America e quante siamo stat* noi (l’Italia, incredibile!) l’America? È di ieri l’anniversario per il trentennale della nave Vlora che, dall’Albania, approda a Bari carica di oltre 20mila profughi: tutti in fuga da un regime che li ha messi in ginocchio, tutti allettati dal miraggio di una nazione benestante e pronta ad accoglierli, ricca e patinata, che occhieggia loro proprio dagli schermi televisivi. Quanti Potato c’erano su quella nave?

Proprio come agli esuli di Durazzo, presto anche a Lena e suo figlio vivere di riflesso la vita agiata dei film non basta più: la donna decide di inventarsi sposa per corrispondenza e cercare marito negli States. John (Dan Lauria) è il miglior pretendente: un uomo più anziano ed eccentrico di quanto lei avrebbe desiderato, un rozzo rappresentante della destra radicale di Seattle, ma è anche il loro lasciapassare per la vita che desiderano. È così che, sul tema dell’omosessualità si innesta quello della diversità e della convivenza: in Italia siamo abituati al doppiaggio, ma Gender Bender ci offre l’opportunità di apprezzare questo lavoro in lingua originale, sottotitolato in inglese. Personalmente, ho la speranza di vederlo distribuito anche in italiano, perché possa arrivare a un maggior numero di persone, ma lo studio attento della recitazione, in questo caso, è di per sé divertente: l’accento dei protagonisti è marcato, senza essere macchiettistico (niente a che fare con lo stile di Borat, per intenderci) e i misunderstanding linguistici ci ricordano costantemente quanto può essere difficile integrarsi veramente.

Due film in uno: nella prima parte, il ritratto schizzinoso e mordacemente comico dello squallore russo, ma confortevolmente familiare; dall’altra la banale periferia americana, ma vista con occhi nuovi e disorientati. Potato dreams of America è una dark comedy autobiografica dello scrittore e regista Wes Hurley di famiglia russa, ma cittadinanza americana; è stato presentato e ha trionfato al festival musicale e cinematografico South by Southwest (SXSW) 2021, con il suo gusto dolce-amaro. Mi ha molto divertita il commento della critica americana Audrey Fox: «Se riesci a sopportare i cambi di registro narrativo un po’ stridenti fra loro e la narrazione deliziosamente cucita insieme dal dottor Frankenstein, con traumi infantili e ricordi semidimenticati, c’è molto da apprezzare in Potato dreams of America» perché sintetizza perfettamente lo spirito di questo film, che tratta con leggerezza temi importanti e affronta piccoli drammi quotidiani facendoci sentire sulle spalle tutto il peso che spesso gli attribuiamo – senza che ce l’abbiamo per davvero.

 

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