Hijra: gloria e declino di una subcultura
di Francesco Colombrita
“È diritto di ogni essere umano scegliere il proprio genere sessuale”. “Riconoscere alle persone transgender lo status di terzo genere sessuale non è una questione medica o sociale, ma ha a che fare coi diritti umani”. “Lo spirito della costituzione indiana è garantire uguali opportunità di crescita a tutti i cittadini, affinché possano esprimere il loro potenziale, indipendentemente dalla casta di appartenenza, dalla religione o dal genere”.
Con queste parole, datate 15 aprile 2014, il giudice della Corte suprema indiana K.S. Radhakrishnan ha accompagnato un verdetto di portata storica, che sanciva il riconoscimento, da parte dello stato, di un terzo genere, inserendo, tra le altre cose, questa categoria nelle Other Backward Class e cioè gruppi sociali svantaggiati tutelati dalla legge. In un dibattito che con sempre maggior forza tenta di abbattere il binarismo di genere, così profondamente radicato in occidente, può ben inserirsi una riflessione sulle motivazioni di questa scelta e in particolare sul perché le lotte degli attivisti transgender del subcontinente si siano rivolte a un’ufficializzazione di questo tipo.
Può stupire infatti che Pakistan, Bangladesh, Nepal e India (malgrado penalizzino ancora, ad esempio, l’omosessualità, in quanto contro natura) si siano allineate su questa posizione le cui origini sono da ricercare in una subcultura antichissima: quella degli Hijra. Rintracciabile nei testi sacri ed epici indiani fin da tempi molto remoti, questa comunità accoglie una serie di individui che hanno in comune la volontà di non riconoscersi in un genere definito, quale che sia l’espressione di tale scelta. Sotto questa egida infatti si ritrovano eunuchi, transgender e intersessuali (un aspetto interessante riguardante questi ultimi è che il rituale di iniziazione consiste nella rimozione di testicoli, pene e scroto, in controtendenza rispetto alla riattribuzione del genere maschile più in voga in occidente). La parabola storica di tale realtà attraversa millenni ed è profondamente legata alla religione. Nella mitologia hindu un ruolo particolare spetta alla figura dell’ermafrodita poiché simboleggia “l’unione di Shiva (la sostanza) e di Shakti (l’energia)” e quindi, ancora con le parole di Alain Daniélou, “il fondamento di ogni creazione”; ricchissime sono le citazioni nell’epica di Hijra che ricoprono spesso ruoli sacerdotali. Perfino nel kamasutra vi sono capitoli riguardanti rapporti sessuali e regole di corteggiamento specifici.
Oltre alle notizie provenienti dai testi sacri, la rilevanza, all’interno del tessuto sociale, del terzo genere si ritrova innegabile anche in epoca storica: enorme prestigio ebbero gli eunuchi durante il dominio Moghul (instauratosi a seguito dell’invasione persiana del 1526 e presente fino all’arrivo degli inglesi), all’interno del quale ricoprivano ruoli di consiglieri e custodi dell’harem (in ragione della credenza per cui non potessero provare desiderio sessuale).
Presenza immancabile a ogni cerimonia in quanto portatrice di fortuna e di benedizioni, questa comunità incontrò il giogo dell’Impero Britannico la cui opera ai danni delle realtà che oggi definiremmo LGBT+ segnerà profondamente per i secoli successivi l’India intera. L’emarginazione derivata dall’imposizione del codice penale di sua maestà portò gli Hijra a vivere in villaggi indipendenti o in situazioni caratterizzate da un forte isolamento. Elemosina e prostituzione sono state per decenni, e in buona parte sono ancora, le sole alternative alla fame cui fare riferimento per sopravvivere e, di conseguenza, la percezione da parte della società indiana odierna è fortemente penalizzata da queste persistenze.
Ad oggi la componente religiosa non è affatto secondaria nei tre milioni circa di soggetti che con gioia hanno accolto la sentenza del 2014, ben grati, probabilmente, alla loro patrona: Bahuchara Mata. Si narra che durante un viaggio in compagnia della sorella, la dea sia stata assalita da un bandito. Non volendo soccombere all’assalitore le due si rimossero il seno con un coltello per maledirlo: sarebbe stato impotente per sempre, a meno che non avesse venerato e omaggiato Bahuchara, rigorosamente vestito con abiti femminili. In altri racconti essa appare nei sogni di uomini in cerca di eredi offrendo il suo aiuto nei medesimi termini. Radiosa e terribile si erge dinanzi al patriarcato punendo con la sua spada tutti gli uomini che si rifiutano di accogliere l’altro genere, esercitando gli aspetti più distruttivi di Durga, la grande madre.
Oggi gli Hijra festeggiano il riconoscimento delle proprie istanze, ma la strada è ancora lunga se, come dice l’attivista Shwetambera Parashar: “l’emarginazione degli Hijra nei confronti della comunità indiana è profonda. Spesso i medici si rifiutano di curarli; essi subiscono inoltre molestie dalla polizia e, a causa della discriminazione, non riescono a trovare lavoro”. Grandi passi dunque, anche se solo il tempo potrà sanare quel divario ereditato dall’occidente.
pubblicato sul numero 29 della Falla – Novembre 2017
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