Il fenomeno delle cam girl

di Carmen Cucci

Era l’agosto dell’82 e la voce della grande Giuni Russo intonava “per le strade, mercenarie del sesso che procurano fantastiche illusioni…”, intro della famosissima Un’estate al mare, la canzone vacanziera più riproposta ogni stagione alla radio. Pochi immaginano che uno dei ritornelli simbolo delle estati italiane parli di una prostituta che, durante le calde ore di lavoro, progetta bagni rinfrescanti e vogate in mare aperto.

Dal latino prostituĕre (letteralmente “mettere davanti”), il termine “prostituta” stava ad indicare una situazione in cui la persona non “si” prostituisce, ma, come una merce, viene posta in vendita. L’origine, dunque, richiama a una condizione in cui il soggetto non esercita autonomamente la sua professione ma vi è indotto e privato dei suoi guadagni da coloro che ne sfruttano le prestazioni, i cosiddetti protettori. Nella Grecia classica è emblematico il fenomeno delle etere: donne indipendenti ed influenti, avevano circoli privati e pagavano le tasse. Discorso diverso nell’antica Roma, dove donne prevalentemente schiave o provenienti da ceti bassi riempivano i lupanari del piacere, situati lontano da occhi indiscreti. L’uso del termine, quindi, non è univoco e prescinde dal contesto storico-culturale.

Un’interessante lettura ce la dà Niccolò Tommaseo, lo storico-linguista che fissò le supposte differenze tra le “meretrici” e le “prostitute”: la meretrice “guadagna del corpo suo”, richiamando con il termine latino mereo una sorta di “meritato guadagno”, mentre la prostituta è legata a prostat, cioè colei che si “mette in mostra e provoca a sozzure”. Alla luce di tali distinzioni, più vicine all’immaginario greco sembrerebbero le meretrici, mentre con le prostitute s’identificherebbero le romane.

Oggigiorno, dove alcune “mercenarie del sesso” hanno abbandonato la realtà delle strade a favore dello schermo, dando vita al fenomeno delle cam girl, quanto è calzante utilizzare per tutte lo stesso appellativo? Lo è di certo per la legge italiana, che con una sentenza della Corte di Cassazione equipara qualsiasi tipologia di sesso a pagamento alla prostituzione. Differente, invece, è la visione delle nuove dell’ambiente: chiunque tu sia, prescindendo da sesso, forme corporee e inclinazioni, ti basterà avere una telecamera e una connessione internet adatta per considerarti meritevole di guadagno a tutti gli effetti. Potrai scegliere cosa esporre, quanto esporre e, in determinate condizioni, a chi mostrarlo. Un’affermazione parzialmente vera che tenta di distanziare l’immagine di prostituta classica tramite la liberalizzazione dei corpi e l’autodeterminazione professionale, ma che sorvola sulle nuove forme di sfruttamento perpetrato da parte dei protettori, ora noti come webmasters. Sono loro i moderni talent-scouts, i reclutatori che si occupano delle mediazioni con i clienti, mettendo in mostra le interessate su siti appositi e intascando una cospicua percentuale.

Da considerarsi linguisticamente ibride tra meretrice greca e prostituta romana, le ragazze in cam sembrano quindi essere molto consapevoli del proprio corpo e dell’uso che ne fanno. Forse, però, tale ragionamento può mancare di criticità nei confronti dei possibili risvolti inattesi di questa pratica; come se il mancato contatto fisico possa riparare dalle “sozzure” tommaseane, intese non come giudizio di merito circa la professione delle cam girl, ma come rischio di speculazione cui possono essere soggette. Meglio quindi farsi una nuotata al largo, per vedere da lontano dietro quali ombrelloni si nascondono le insidie: mettere a valore il proprio corpo non sempre potrebbe rivelarsi una scelta di autodeterminazione completa ed efficace.

Illustrazione realizzata da Fraopic

Intervista a Fraopic.

pubblicato sul numero 29 della Falla – Novembre 2017