Il candore
della neve
su un ramo di pino,
è il candore
della pelle di lei
dalla spalla
alla gamba.
E l’oscillazione del ramo
sotto la
carne di neve,
è il canto dei fianchi di lei
nel peso delle mie mani.
(Mary Dorcey, “Il candore della neve”, The River That Carries Me, 1995)
Nelle sei raccolte di poesie fino a oggi pubblicate, Dorcey fa scoppiare la bolla morale dei benpensanti, in diversi modi: dando forma a un linguaggio del desiderio lesbico; dando ascolto alle storie delle donne, troppo a lungo ignorate; e dando voce alle denunce di violenza sulle donne e alle rivendicazioni dei movimenti femminista e lesbico (è stata la prima donna irlandese a battersi pubblicamente per i diritti LGBT+). La riscoperta dell’eredità femminile (individuale e collettiva) è una tappa fondamentale per arrivare alla presa di parola e alla poesia. Le madri sono flagship: nave ammiraglia e al contempo orgoglio, che le figlie seguono in scia («Passaggio inesplorato», in Like Joy in Season, Like Sorrow, 2001). Lo spazio fisico e simbolico lasciatoci in eredità dalle madri è un passaggio liberato affinché le donne che seguono possano muoversi senza limiti ed esprimersi con autorevolezza: «Ma devi fare ogni passo prima/ attraverso questo passaggio/ noi figlie seguiamo dopo/ ognuna di noi/ entriamo nello spazio/ liberato dalle nostre madri (Prove di taglia, in Moving into the Space Cleared by Our Mothers, 1991)».
Nelle poesie di denuncia, Dorcey ancora una volta squarcia la bolla dell’ipocrisia dominante e mostra spaccati di vita quotidiana di donne per le quali la casa, la strada, la piazza o la patria non sono solo il contesto di esperienze di amore, libertà o partecipazione politica, ma sono anche teatro di violenze, minacce, guerra. La donna che cammina cingendo i fianchi della persona che ama senza sentirsi in pericolo (Estate, in Perhaps the Heart Is Constant After All, 2012); la donna che ha un lavoro, del cibo e una casa; la donna che legge le storie di ordinaria violenza su altre donne, vittime di guerre lontane (Una donna in un’altra guerra, 1995): drammaticamente, queste non sono donne comuni. A queste donne, a tutte noi, la poeta impedisce di guardare con ingenuità il mondo in cui viviamo. E a tutte le donne ‘altre’ che stanno combattendo altre guerre, rende onore. Questo sguardo, candido e tagliente, genera la poesia di Mary Dorcey: «come a dire ecco qui –/ questo è il sangue,/ il polso che batte, la gioia,/ la meraviglia, il dolore,/ questo è quanto è costato./ Questo è ciò che ne ho fatto (Patchwork, in To the Air the Soul, Throw All the Windows Wide, 2016)».
*Tutti i versi in italiano qui citati sono tradotti da Maria Micaela Coppola.
Pubblicato sul numero 52 della Falla, febbraio 2020
Immagini da youtube.com, thepoeti.it
Il presente articolo è disponibile anche in inglese
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