Riapre oggi, dopo due anni di silenzio, il Divergenti 2017 / Festival Internazionale di Cinema Trans, organizzato dal Mit – Movimento Identità Trans. Il debutto con la proiezione al Cinema Lumière di Screaming Queens – The Riot at the Compton’s Cafeteria, un documentario sulle donne transessuali e le drag queen che si ribellarono ai soprusi della polizia ben tre anni prima della rivolta al bar Stonewall Inn di New York. La pellicola, girata nel 2005 con la regia di Susan Stryker e Victor Silverman, racconta infatti la storia, sconosciuta ai più, della sommossa alla Compton’s Cafeteria nel Tenderloin di San Francisco nel 1966.
In soli 57 minuti viene riassunta, lucidamente e senza sconti, la situazione prima e dopo questo storico avvenimento, con testimonianze dirette di chi lo ha vissuto in prima persona. Come ha ricordato nella presentazione prima dello spettacolo Mario di Martino, della direzione artistica del Festival, recuperare la storia per vedere meglio il futuro è fondamentale, soprattutto quando la realtà attuale è ancora afflitta da problematiche analoghe a quelle del passato.
Il documentario si apre spiegando l’origine delle fonti dalle quali è scaturito il lavoro: Susan Stryker, dopo aver fatto coming out come transgender, si dedica ad alcune ricerche sulla comunità T, sentendo il bisogno di conoscere il mondo a cui appartiene. È proprio dal desiderio di fare comunità che nasce la storia della Compton’s Cafeteria. In un vecchio archivio, Stryker trova articoli che accennano agli avvenimenti del 1966 e, inizialmente perplessa, approfondisce le sue ricerche, scoperchiando un vero e proprio vaso di Pandora.
A San Francisco, dove viveva già allora una delle comunità LGBT+ più estese, il quartiere di Tenderloin era colonizzato dalle donne transessuali e dalle drag queen della zona. Negli Stati Uniti dell’epoca la comunità gay poteva vivere liberamente la propria identità soltanto la notte. Ciò che faceva la differenza nel Tenderloin era che era gay 24/7.
I primi minuti delle riprese riportano la testimonianza di donne transessuali che ricordano il quartiere in tutta la sua crudezza. Nonostante fosse l’unico luogo nel quale era loro concesso di vivere, le condizioni di estrema povertà, l’impossibilità di trovare lavoro sia con abiti maschili, perché troppo effemminati, sia con abiti femminili, perché troppo spesso riconoscibili da chi le aveva viste in altre circostanze, costringevano le donne T alla prostituzione. Tenderloin era il ghetto gay degradato dove vivevano e nel quale arrivavano i soggetti che preferivano essere loro clienti la notte, piuttosto che vederle lavorare di giorno. La povertà, i continui soprusi della polizia, la violenza da parte di clienti troppo spavaldi, non spegneva l’orgoglio di queste donne, che dovevano lottare ogni giorno non per i loro diritti di transgender, ma di esseri umani.
La Compton’s Cafeteria era il luogo d’incontro privilegiato: sempre aperto, era il posto dove si andava per far vedere alle altre che si era sopravvissute alla notte precedente.
Con la rivoluzione culturale degli anni ’60 le cose presero una nuova direzione. Il vento di cambiamento portato dalle idee emergenti e i soldati in partenza per il Vietnam che frequentavano il quartiere resero tutti consapevoli del fatto che le cose si stavano modificando. Poi la svolta: si comincia a parlare di riassegnazione genitale, aprono le prime cliniche, una nuova prospettiva di vita emerge.
È in questo clima che scoppia la rivolta alla Compton’s Cafeteria: un raid della polizia, un atteggiamento meno accondiscendente delle clienti abituali, le mani si alzano, troppo, come ammette Elliot Blackstone, allora poliziotto e responsabile delle relazioni con la comunità, vola una tazza di caffè. La mattina dopo erano innumerevoli gli arresti e quello che restava fuori dal locale erano i vetri rotti delle finestre sul marciapiede. Nonostante l’inaudita violenza il sentimento comune era la gioia: la consapevolezza che quello che da tempo doveva succedere era finalmente accaduto. Il documentario si conclude con la rassegna dei risultati: la violenza delle forze armate radicalmente diminuita, la possibilità per le donne T di provare nei camerini dei negozi e comprare gli abiti con cui vestirsi e non più travestirsi, la diffusione di documenti ‘speciali’ che rispecchiassero la propria identità. La più grande eredità fu il sentimento di libertà crescente, l’unico ma grande riconoscimento a questo evento, che per anni rimase taciuto e nascosto al mondo.
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