Sono giovane. Mi sento giovane. Sono vulnerabile. Amo rischiare. Mi sento invincibile. Amo mio marito. Tradisco la mia fidanzata.

Il sesso è un legame, che ci piaccia o meno. Un tessuto connettivo temporaneo che ci fonde per un breve momento. Soprattutto, il sesso ha una qualità sottostimata: il potere di alterare irreversibilmente il corso di una vita. Il nostro paese fa parte di quel ventaglio di nazioni che non vuole conoscere il sesso, vuole solo praticarlo. Per questo l’Italia che fa sesso è spesso irresponsabile, disinformata, negligente.

Secondo una ricerca condotta dalla Società italiana della contraccezione, su un campione rappresentativo di settemila studenti tra gli 11 e i 25 anni, quattro giovani su dieci non usano alcun metodo contraccettivo. In altre parole, oltre il 40% dei giovani in Italia fa sesso non protetto, facendo scivolare il paese al dodicesimo posto nella classifica delle nazioni all’avanguardia in tema di sessualità corretta e responsabile.

A pagarne le conseguenze sono spesso le donne. I dati raccolti dalla Lega Italiana per la lotta contro l’AIDS (LILA) denunciano che su 4 mila nuovi contagi l’anno stimati in Italia, un terzo colpisce la popolazione femminile. Nell’80% dei casi, la trasmissione avviene per via sessuale, il 45% delle volte tramite rapporti eterosessuali. Quel che risulta più allarmante è che nel 50% delle diagnosi femminili l’infezione risulta essere ad uno stadio già avanzato.
Dal 2010 al 2016 la percentuale delle infezioni segnalate al Centro Operativo AIDS del Ministero della Salute è del 30% rispetto al totale riportato. Le diagnosi di HIV nelle donne, rilevate nel 2016, sono state 796: 488 (61,3%) straniere e 297 (38%) italiane. La fascia d’età tra i 25 e i 49 anni mostra un trend in diminuzione, specie per le nostre connazionali.

È alle donne straniere che l’infezione viene diagnosticata più di frequente, in particolar modo nelle fasce d’età inferiori ai 50 anni. Tuttavia, i dati confermano che al di sopra dei 50, la percentuale delle diagnosi da Hiv risulta il doppio nel campione femminile italiano rispetto a quello straniero.

In Italia, nella maggior parte dei casi, i fattori più comuni che espongono all’infezione sono riconducibili innanzitutto alla fiducia riposta nel proprio partner, in secondo luogo alla minimizzazione dell’importanza del preservativo, a seguire all’incapacità di contrattare l’uso del profilattico con il proprio partner, e infine all’assoluta o (parziale) disinformazione in tema di infezioni sessualmente trasmissibili.

Nella cultura italiana, intrisa di machismo e perbenismi pseudo-religiosi, un uomo che non vuole usare il preservativo e una donna che glielo consente costituiscono un’immagine perfettamente riconoscibile, che si colloca armoniosamente nel quadro di disuguaglianza socio-culturale imposta tra i sessi.

È imperativa una rivoluzione culturale. Un’educazione sessuale che fortifichi nelle donne la consapevolezza del proprio corpo, che le renda responsabili in prima persona della propria salute senza deleghe. Un’educazione affettiva che le renda meno vulnerabili e le faccia sentire in grado di porre dei limiti, di contrattare delle condizioni, senza il timore di intaccare la propria relazione.

Soprattutto, è necessario educare i maschi, educare gli ominicchi e i quaquaraquà. Che di uomini responsabili l’Italia è a corto e le scuse sono esaurite.