ANATOMIA CONFIDENZIALE DI UN LUTTO INOPPORTUNO

Maradona

La morte di Maradona lo scorso 25 novembre, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ha portato grande scompiglio nella comunità transfemminista.

Mentre anche i media mainstream, nel rendergli tributo, rimarcavano gli aspetti più oscuri della sua personalità, ripercorrendone, insieme ai successi sportivi e alle attestazioni di lealtà e di generosità, anche i guai con la legge, le tossicodipendenze, le relazioni turbolente con le donne e i/le figlx (sorvolando tuttavia abbondantemente sulle denunce di violenza e di sfruttamento sessuale su minori), le femministe napoletane e argentine hanno espresso sentimenti di cordoglio così accorati, partecipati e commossi da lasciare di stucco molte compagne che lo avevano bollato e archiviato come una manifestazione esemplare di mascolinità tossica, un personaggio dal quale congedarsi senza rimpianti e, se mai possibile, da consegnare all’oblio.

Pure nel vivo del lutto, sui social media alcune hanno tentato di spiegare, a chi manifestava sconcerto e indignazione, quel sentimento di perdita e la genesi del legame instaurato con una figura tanto controversa e incoerente con molti dei valori che ci accomunano, portando il nostro sguardo sul senso di subalternità e di inadeguatezza che pervade il Sud, qui da noi come nel resto del mondo, componente essenziale dell’investimento affettivo proiettato su un campione sportivo che, attraverso le proprie scelte e i propri successi, è riuscito a riscattare l’immagine di popolazioni cronicamente marginalizzate, collocandole al centro dell’attenzione globale e restituendo un senso di valore e di dignità che prima non era loro pubblicamente riconosciuto

«Maradona ci ha tolto i paccheri da faccia», scrive qualcuna, «chi non è di Napoli non può capire»: un’attestazione di differenza sostanziale, che genera ulteriore sgomento in tutte coloro che non vedono come sia possibile conciliare questo riconoscimento con l’aspirazione a una società liberata dalla violenza patriarcale. Sono giornate di discussioni accese, nelle quali urtare le sensibilità reciproche sembra inevitabile, e che lasciano tutte profondamente avvilite, perchè ogni onesta e legittima manifestazione del proprio sentire tocca in ognuna delle altre vissuti personali dolorosi e traumatici.

Diverse attiviste, come Giusi Palomba per Pasionaria, hanno illustrato efficacemente la componente identitaria di questo rapporto, connettendola al tema del riscatto, che si porta dietro implicazioni cruciali rispetto alle variabili di classe e di razza – non per niente è un tema portante della cultura hip hop – e rammentandoci che adottare una prospettiva intersezionale richiede di tenere conto anche di queste esperienze e di assumerle come intrinsecamente valide. 

A me che ho all’attivo un buon curriculum di relazioni complicate e disfunzionali, a cominciare dal contesto della mia famiglia d’origine, la connessione di questi eventi con la ricorrenza del 25 novembre appare tutt’altro che contraddittoria. Non sono mai stata fan di Maradona – non fa parte del mio background personale – ma so cosa voglia dire innamorarsi di qualcuno che rispecchia proprio gli aspetti più fragili di sé, quelli più trascurati e che meno hanno ricevuto riconoscimento e validazione, anche se poi si rivela uno stronzo. Ho imparato anzi che è esattamente questo genere di vulnerabilità a esporci al rischio di relazioni violente e dipendenze affettive, perché nessuno stronzo è stronzo tutto il tempo: gli aspetti narcisistici della personalità si esprimono anche nel ricorso a meccanismi di rispecchiamento dell’altrx (mirroring) per assicurarsi attenzione e devozione, ed è precisamente l’alternanza di comportamenti amorevoli e violenti a generare legami di codipendenza così saldi da rendere estremamente difficile abbandonare le relazioni tossiche, per quanto ciò possa sembrare controintuitivo. E anche ammesso che l’amor proprio, lo spirito di autoconservazione e la maturazione di una consapevolezza superiore consentano di uscirne, il corpo e la mente conservano memoria dei vissuti traumatici, coi quali tocca fare i conti ogni qualvolta un nuovo evento tocchi quelle corde, riconnettendoci a quella dimensione conflittuale di esaltazione e sofferenza, delusione e nostalgia, ingenuità e perdita dell’innocenza e, tipicamente, tanta vergogna.

Mi è difficile dunque non associare il biasimo rivolto alle compagne in lutto per la morte di Maradona a quello che troppo spesso si riserva alle donne che faticano a svincolarsi da relazioni tossiche e violente: anche questo parrà controintuitivo, ma i lutti connessi ai rapporti ambivalenti sono i più complicati da elaborare. Come collettività abbiamo scarsissima coscienza di come le nostre esperienze di attaccamento influenzino il nostro modo di relazionarci. Che cosa la consapevolezza di queste dinamiche possa comportare in termini di elaborazione di pratiche collettive contro la violenza è esattamente ciò che ci resta da scoprire.

Immagine in evidenza da corrieredellosport.it