“Quando ti accosti ai vetri del pensiero
e fuori piange il sole, si fa notte
il sangue ti si ghiaccia, sei straniero
la via della tua terra dove sta?”
(Anonimo – La via del Molise)

Siamo cresciute in una città di poco più di 50.000 abitanti, per il resto tante salite e tante campagne. Campagne in cui da piccole, alla ricerca di un’età più grande, giocavamo e correvamo con il nostro compagno per eccellenza, il Super Santos. Crescendo, però, ci siamo accorte che forse era meglio rimanere piccole, le persone dopo il liceo si spostano in continuazione e la città si svuota per ben 340 giorni su 365.

Nell’immaginario di una liceale quegli spostamenti volevano dir tanto, volevano dire uscire dal nostro mondo fatato, troppo piccolo per esistere, troppo piccolo per capire. Immersi dai boschi incolti, c’erano le uscite per ritrovare gli antichi templi romani in una natura che non te le faceva così semplici, c’erano le sagre e la villetta dei cannoni.

Tutto sommato, ovunque tu vada, troverai sempre il pedaggio delle vecchiette che ti accolgono con un “sì forestier?!”, un simpatico modo per dirti che sei una straniera. Straniera che comunque trova sempre casa perchè quelle stesse anziane, mosse dal loro orgoglio di appartenenza, una volta sedute iniziano a far scorrere fiumi di Tintilia e cibi a profusione.

Siamo andate via quasi tutte e, una volta lontano, inizi ad avere con quel famigerato Molise un rapporto di amore e odio: dopo mesi vuoi tornare ma, una volta tornata, dopo tre giorni inizi a scalpitare. Come per ogni cosa non bisogna esagerare, piccole dosi alla volta per non uscirne troppo sazia.

Gli occhi sempre aperti, si rischia spesso di inciampare in qualche strana conversazione ricca di pregiudizi di chi dà per scontato il mondo patriarcale, per chi fa del sociale andando in chiesa e non si sporca la coscienza verso chi non rispetta il diktat eteronormato.

Ma molte di queste persone non è detto che siano etero! Spesso chi sa della propria omosessualità si cela dietro questo muro e difficilmente sarà intenta a demolirlo, l’omosessualità va bene in privato e il Pride è roba per chi vuole ostentare, a prescindere da quale sia la storia del movimento e il suo significato. La storia non va, è troppo sovversiva, noi preferiamo qualcosa di più semplice e costruito ad hoc: qualcosa che plasmi la realtà e ci bendi gli occhi per darci la sicurezza di tenere sotto controllo tutto ciò che ci circonda.

Vige la fenomenologia del femminiello, estrema categorizzazione di qualcosa che non si conosce, vige lo sport delle persone che affacciandosi alla finestra fanno risuonare nelle strade “andate a fare i fatti vostri a casa vostra!”, non si ha nulla in contrario magari, ma… guai a chi si esprime sul suolo di tutti, o di alcuni. Insomma, essere finocchio non è mica una cosa da tutti i giorni!

Questo quadro però sta cambiando progressivamente. Le nuove generazioni stanno portando un’apertura dirompente, stanno prendendo posizione e coscienza di cosa vuol dire vivere l’omosessualità e di cosa vuol dire in tempi social informarsi e conoscere la realtà fuori Campobasso. Iniziano a sentirsi parole come “diritto”, “libertà d’espressione”.

È un cambiamento davvero forte, così forte che la mia generazione sembra essere cresciuta un cinquantennio prima. Ciò solleva gli animi di chi, come me, fantastica uno svecchiamento sociale che permetterà di vivere più a fondo quella realtà ormai tanto distante, di vivere gelosamente quelle porzioni di Molise che ti spettano poche volte l’anno, di riqualificare quel posto che troppe volte ti ha respinto a colpi di stigmi.

pubblicato sul numero 31 della Falla – gennaio 2018

immagine realizzata da Mara Santinello del collettivo artistico Gli Infanti