di Roberto Pisano

Casertano, classe ’88, è il fumettista e disegnatore che ha realizzato il poster di questo mese. Un passato e da grafico pubblicitario e da web designer, poi il diploma all’Accademia di Belle Arti sotto le due torri. Da pochi mesi è in libreria Un anno senza te, scritto da Luca Vanzella, che ha raccolto grande attenzione nel mondo del fumetto. Giovanni ama portare a spasso il suo bulldog francese, disegnare storie fantastiche (Grimorio) e racconti erotici (Melagrana).

Il tuo lavoro per La Falla racconta il particolare di una scena Bdsm. Questo punto di vista cosa voleva mettere in luce?

In generale non ho interesse nel raccontare una posizione di potere, preferisco sempre concentrarmi sull’opposto, in questo caso lo schiavo, soggetto debole per antonomasia. Ammetto di non aver mai provato il Bdsm nella sua forma più canonica, ma ho l’idea che lo schiavo sia quello che se la goda di più nella coppia (o gruppo). È paradossalmente soggetto attivo della pratica, dove focalizzare l’attenzione. Mi piace sottolineare che è parte consenziente del gioco, con il suo sguardo complice e fugace allo spettatore: ama quel ruolo, che è di grande espressione erotica.

Nell’antologia di racconti Melagrana hai rappresentato la difficoltà di mettersi a nudo, letteralmente. Pensi che un artista visivo oggi trovi barriere emotive o editoriali a rappresentare l’eros e il sesso?

Credo che il fumetto sia un mondo empiricamente libero da certi vincoli. Nell’editoria uno spazio per raccontare si trova sempre. Tendo a raccontare la sessualità seguendo un punto di vista molto soggettivo, disattendendo le aspettative che si hanno nei confronti dell’omoerotismo. Noto che disegnare sempre personaggi che rispecchiano la mia stessa fisicità a volte mette in imbarazzo chi fruisce, perché è come se gli stessi dicendo che io, trentenne omosessuale sovrappeso, posso vivere bene la mia sessualità con la mia fisicità. Non viene molto compreso, se non forse da chi vive i miei stessi disagi e desideri. Chiunque potrebbe appellarsi alla comunità ursina e farmi notare che ha un discreto peso sull’immaginario percepito del movimento LGBT+, ma ammetto di riconoscermici fino a un certo punto. Preferisco non rivolgermi a un solo tipo di pubblico.

Nel tuo ultimo graphic novel, tra nevicate di conigli, hai messo in scena una piccola storia di formazione sentimentale. È difficile raccontare l’amore omosessuale dei giovani andando oltre stereotipi come la promiscuità?

È tutto relativo a ciò che si vuole narrare. Riguardo alla promiscuità, non credo debba avere per forza un’accezione negativa, dipende come si pone, come l’autore decide che quell’esperienza possa giovare o meno ai protagonisti. Gli stereotipi spesso sono reali, ma possono essere scansati o trasformati in pretesti narrativi. Non è semplicissimo dare una visione originale dell’omosessualità in età di formazione, ma nemmeno impossibile.

Per finire, un pizzico di fatti tuoi. Il tuo primo appuntamento finisce in cima a un faro nella nebbia oppure appesi a delle corde con una parola di sicurezza?

Sulla cima di un faro, naturalmente. A patto vi sia, non dico una sex sling, ma almeno una brandina. Mi pare il minimo.

pubblicato sul numero 31 della Falla – gennaio 2018