Mestruazioni, ovvero: come trasformare qualcosa che riguarda larga parte della popolazione mondiale in una trascurabile roba da femmine.

Premesse: poiché possono mestruare donne, persone non binarie e persone trans*, e si vuole alludere alla corrente femminista che attacca il costrutto sociale e culturale di donna svincolando le mestruazioni da implicazioni identitarie, si sceglie di ricorrere allo schwa e, in alcuni passaggi, al termine mestruanti (come fa Maisie Hill nel controverso e discusso Period Power: Harness Your Hormones and Get Your Cycle Working For You): non lo si interpreti come una riduzione dell’individuә a una mera funzione corporale; si intendono abbattere, dove possibile, binarismi e lunghi giri di parole. Si ricorrerà al binarismo maschile/femminile in un solo contesto e per citare un articolo che tratta il gap di conoscenza tra la medicina cosiddetta maschile e quella femminile.

E dunque: mestruazioni. Sembra quasi di poter immaginare chi legge (o una certa rappresentanza perlomeno, mestruanti compresə) storcere il naso per questa ripugnante parola. Stessa reazione se parliamo poi di menopausa. Ma perché? Non se ne può certo esaurire la ragione in un breve articolo ma si può provare, almeno, a problematizzare un fenomeno parte del corollario di ragioni per cui sulle mestruazioni, e gli eventi correlati, ci sono ancora disinformazione e ignoranza. Le mestruazioni, al pari della menopausa che sconta anche le aggravanti della vecchiaia e della fine della desiderabilità, sarebbero ciò che rende incapaci di giudizi oggettivi, di mantenere posizioni di potere o di rilevanza, inabili a qualunque lavoro non sia quello di cura, o ancora, se meglio o peggio non si sa, sono un dono, una sorta di retaggio ancestrale (nelle correnti per così dire new age) attraverso cui connettersi intimamente con la natura, il simbolo della bellezza di essere donne™ e fertili e utili al proseguimento della specie. Chiariamo immediatamente che non esistono regole che sanciscono come una persona debba intimamente vivere e affrontare ciclo e menopausa, e dunque nulla osta che li si consideri come occasioni di profonda connessione con sé stessə o che li si voglia maledire ogni singolo giorno. Quello che invece ci riguarda tuttə sono le credenze sulle mestruazioni che precludono una visione nella sua interezza, che contempli gli aspetti fisiologici e culturali. 

A questo riguardo, per fare intanto un esempio, è altamente consigliabile la lettura del breve e ironico If men could menstruate di Gloria Steinem, scrittrice, attivista e femminista statunitense che in questo testo, pur con un tono scanzonato, sottolinea come alla base delle fantasiose sovrainterpretazioni sulle mestruazioni non vi sta niente di medico o di scientifico ma banali quanto forti dinamiche di potere. Chi, mestruante o meno, non sa che durante il sanguinamento non si possono fare dolci, cucinare, o cimentarsi in attività pratiche, pena il garantito insuccesso dell’operazione? Ma queste son credenze antiche, e  oggi fanno anche ridere, magari. Fa un po’ meno ridere l’estensione di questa logica, la stessa che partorisce quelle che ci appaiono subito come scemenze e superstizioni, al mondo del lavoro e crea il pregiudizio che vuole chi mestrua come inadattə a posizioni di potere o che contemplino un ricorso frequente al raziocinio (è interessante come, di contro, per tornare alle visioni che più che scientifiche sono semplicemente viziate da atteggiamenti discriminatori, vogliono il testosterone come scusante quando si parla di femminicidio ma mai come impedimento quando si parla di mettere in campo doti intellettive. L’altalenare di questo ormone deve evidentemente seguire uno swing speciale). Fanno un po’ meno ridere i rischi di infezioni o l’isolamento forzato a cui deve sottostare chiunque non abbia i mezzi per procurarsi i necessari prodotti di igiene per affrontare gli schifosi e innominabili giorni del sanguinamento (e parliamo di più di 500 milioni di persone nel mondo). Deve fare davvero molto ridere visto che in Italia la proposta di abbattere la cosiddetta tampon tax ha suscitato l’ilarità dei più (la situazione a oggi in questo articolo e qui per le origini della proposta).

Ci sono degli stereotipi che influenzano la vita di chi mestrua, ma quanto gravi saranno mai un pugno di falsi miti? È possibile, ma non garantito, che se le mestruazioni siete voi ad averle ne abbiate una consapevolezza più ampia, ma non è sufficiente mestruare per dominare completamente questo contenuto e il perché è abbastanza semplice: se ne parla, in termini specialistici o più largamente divulgativi, troppo poco e raramente nei contesti giusti. Si fa affidamento a una sorta di tradizione spontanea della conoscenza, ma questa conoscenza non è detto, intanto, che sia corretta e, secondariamente, che sia scevra da luoghi comuni, stereotipi e forme di pudore che sfociano nello stigma. Se come si diceva in apertura persino lə mestruanti stessə sono ripugnatə (ed è una ripugnanza tutta culturale) dal sanguinamento e pongono sull’argomento un veto categorico, sarà difficile che queste stesse persone alzino la voce per scardinare preconcetti o far valere diritti come l’accesso a degli specifici giorni di riposo dal lavoro, se necessario, a una corretta educazione sessuale a scuola (che non è una pratica di indottrinamento gender ma uno strumento per acquisire conoscenza e consapevolezza anche del proprio corpo e, quindi, dei propri bisogni e diritti), a un trattamento sanitario ad hoc in caso di patologie e/o disturbi correlati al ciclo che, ammesso che vengano diagnosticati, richiedono spesso lunghe ed estenuanti trafile.

Un approccio femminista, nel sottrarre alle mestruazioni implicazioni identitarie, ragiona sui diritti (coi conseguenti adeguamenti normativi) e i bisogni deə mestruanti, punta a sradicare uno stigma che è spesso causa di discriminazioni e violenze e crea un’occasione per gettare nuova luce su un fenomeno che necessita, invece, di essere problematizzato. Perché le mestruazioni sono importanti, lo sono quando arrivano e lo sono quando se ne vanno, ma non è solo una questione di sanguinamento e di ormoni, c’è una controparte sociale di estesa misura che tende a trasformare una delle possibili attività del corpo di unə individuə nella sua gabbia e nel suo incasellamento sociale e questo non può riguardare esclusivamente chi mestrua (come il Covid-19 non riguarda solo chi lo contrae, come la disuguaglianza sociale non riguarda solo chi la subisce, e via dicendo). Ci dobbiamo aspettare che, nel cammino verso una società più equa, la scienza colmi lo spaventoso gap tra medicina cosiddetta maschile e femminile, che vengano istituiti percorsi scolastici e riconosciuti di educazione sessuale, che il mondo del lavoro smetta di essere una bolla pensata per un’unica categoria di persone (in cui,  peraltro, non rientrano nemmeno tutti i maschi, se proprio volessimo metterla in questi termini terra terra) e che chi mestrua possa vivere in un contesto sociale paritario e non discriminante.


Per approfondire l’argomento della period poverty: https://www.amnesty.org/en/what-we-do/living-in-dignity/;

le iniziative del progetto “Bloody good period”, https://www.bloodygoodperiod.com/

e il breve documentario del 2018 “Period. End of Sentence”, di Rayka Zehtabchi, che mostra come ad Hapur, India, un gruppo di persone abbia trasformato un tabù come le mestruazioni in un potente strumento di emancipazione economica e sociale.