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“Infine, la dottoressa ha fatto notare che sebbene lo studio abbia al momento evidenziato la diffusione della droga chemsex limitatamente all’interno della comunità gay, in qualsiasi momento, tale uso potrebbe facilmente estendersi anche alla comunità eterosessuale, seguendo il copione della tristemente popolare ecstasy, originariamente utilizzata unicamente in ambito omosessuale e successivamente diffusasi ovunque.”, Il British Medical Journal lancia l’allarme: il chemsex omosessuale è una priorità di salute pubblica www.osservatoriogender.it, 06/11/2015.

“La morte di Luca Varani, torturato e ucciso dopo un festino a base di coca, potrebbe essere solo il fatale epilogo di un fenomeno sempre più diffuso, quello del chem sex.”, L’allarme dei siti gay sul chem sex, www.ilgiornale.it, 08/03/2016.

“La diffusione del fenomeno del chemsex nella comunità gay “nostrana” squarcia la maschera alla presunta “bontà” dell’osannato stile di vita omosessuale. Un comportamento insano e contro natura fonte di malattie e traumi psicologici dal quale bisogna tenere alla larga con ogni mezzo gli adolescenti italiani.”, Anche in Italia è allarme ChemSex?, www.osservatoriogender.it, 29/09/2016.

Quando mi è stato chiesto di scrivere questo articolo, confesso che ho pensato di rifiutare. Parlare dell’uso di droga connesso al sesso significa dover maneggiare un argomento “pericoloso”, figurarsi se poi il sesso è quello fra uomini. Ho comunque deciso di correre il rischio e ho detto di sì. Ogni volta che leggevo qualcosa in rete, però, diventavo sempre più incerto; ogni pensiero sull’argomento continuava a trasformarsi in domanda e, alla fine, mi sono ritrovato con più dubbi che certezze. Penso, quindi, sia corretto avvisarvi che se state leggendo questo articolo per cercare delle risposte, non ne troverete. Se cercate definizioni, numeri e soluzioni, non ce ne saranno.

La prima volta che ho sentito una domanda su quello che ora si conosce come “ChemSex” è stata nell’autunno 2015: un volontario di Cassero Salute chiedeva a me e ai miei colleghi (operatori nell’ambito della tutela della salute e della riduzione dei rischi connessi all’uso di sostanze stupefacenti) se avessimo sentito parlare di feste private fra uomini, in cui si consumavano dei mix di droghe per fare sesso. Non avevamo una risposta in quel momento, ma abbiamo drizzato le antenne. Un paio di mesi dopo ho sentito esplicitamente parlare di ChemSex. Durante una formazione a Lisbona, due colleghi, attivisti LGBT+ che si occupano della tematica HIV e in generale di IST (Infezioni Sessualmente Trasmissibili) e salute sessuale, hanno presentato un quadro della situazione di questa “nuova” pratica nelle loro città (Parigi e Berlino), portando alla nostra attenzione alcune criticità per certi aspetti allarmanti. Sono stati anche propositivi, riportando esperienze di riduzione del danno e tutela della salute in questi contesti e alcune idee su come riuscire a contattare e sensibilizzare i partecipanti a questi “festini”.

Già in quell’iniziale contatto con la tematica ChemSex sono sorti i primi dubbi: cos’ha di nuovo questo Chemsex rispetto alle vecchie abitudini di sballo e sesso? È una prerogativa solo della comunità MSM (acronimo inglese che indica uomini che fanno sesso con altri uomini) e gay? Come fare a maneggiare questa tematica così esplosivamente “pruriginosa”, che potenzialmente tiene insieme sesso cosiddetto “estremo”, droga, uomini che fanno sesso fra loro e rischio di contrarre HIV/HCV/IST? Continuavo a pensare che un conto sono Parigi e Berlino (e anche lì hanno i loro problemi!), un’altra realtà, e di tutt’altra specie, è l’Italia. Non riuscivo a non pensare: come sarà gestito a livello mediatico e di opinione pubblica questo modo di vivere la propria sessualità, il proprio modo di fare sesso e i propri consumi di sostanze? Sfortunatamente, tutto quello che mi veniva in mente in quel momento erano solo pasticci giudicanti, mescolanze inesatte e pregiudizi omo-transfobici e, purtroppo, la prima vera risonanza mediatica del ChemSex in Italia è stata collegata all’omicidio di Luca Varani, avvenuto a Roma nei primi mesi del 2016.

Viviamo in un paese cattolico e, a detta di molte persone, anche non laico, diffusamente omo-transfobico, intollerante con i consumatori di sostanze e bacchettone con chi sperimenta col sesso: come possiamo essere in grado di approcciare una tematica che riguarda la salute e il benessere psicofisico di persone che, mediamente, si pensa valgano meno degli altri? E ancora: perché solo ora tutta questa attenzione mediatica sul rapporto sesso/droga? Perché proprio quando viene fuori una tematica così strettamente connessa alla comunità LGBT+, si diffonde l’allarme giornalistico su comportamenti sessuali a rischio legati all’uso di alcool e sostanze stupefacenti? Per gli addetti ai lavori, il tema del rischio sesso/droga correlato non è una novità e si sa bene che non è un fenomeno unicamente collegato al sesso fra uomini. Noi operatori sappiamo anche che non sta a noi giudicare come e con chi le persone fanno sesso: il nostro interesse è quello di fornire strumenti per poter fare scelte consapevoli e tutelanti rispetto al proprio benessere.

Tornando a “che cos’è il ChemSex e cos’ha di nuovo rispetto a prima?”, riporto in chiusura la definizione usata nell’European ChemSex Forum, svoltosi a Londra nell’aprile 2016. Il ChemSex collega l’uso ricreativo di tre specifiche sostanze (con o senza l’uso di altre) in contesti sessuali: mefedrone, crystal meth e GHB/GBL. Le prime due sono sostanze stimolanti, la terza è un sedativo che funziona anche da disinibitore. Quindi, a differenza di prima, vengono usate altre sostanze, non più la classica combinazione alcool, cocaina, popper e MDMA/ecstasy; è spesso diversa la loro modalità d’assunzione, endovenosa più che per via nasale o per combustione; cambia il contesto, non più discoteche/luoghi pubblici, ma party privati/case; il passaparola avviene tramite le app di incontri (Grindr è forse la più diffusa, ma non l’unica) e i consumi e il sesso vanno avanti anche per 48-72 ore. Molte volte i partecipanti a questi incontri non praticano il safer sex. Il ChemSex si è diffuso nella comunità MSM e gay di Londra a partire dai primi anni 2000, ma ora è un fenomeno europeo e globale, anche se i numeri al di fuori della realtà londinese rimangono ancora poco certi.

Sì, questa era una definizione abbastanza precisa, anche se non esaustiva, ma il resto sono ancora domande: è diffusa questa pratica in Italia? E quanto? Perché sembra per lo più ristretta agli MSM? Perché così tanti medici, terapeuti e ricercatori attivisti gay hanno continuato a parlare, durante il Forum di Londra, di omofobia interiorizzata, per spiegare l’enorme diffusione di comportamenti a rischio durante il ChemSex? Forse, in questo caso, è davvero importante comprendere anche il perché si corrano dei rischi, senza fermarsi solo all’aspetto pragmatico della loro riduzione? Lo ripeto, molte domande e poche risposte…

pubblicato sul numero 19 della Falla – novembre 2016